domenica 15 giugno 2003

Il mio quarto viaggio nell'Unione Europea: Paris.


Parigi (18 Agosto - 23 Agosto 2001)

Il mio quarto viaggio nei paesi dell'UE l'ho effettuato nell''incantevole e spettacolare Lutezia, antico nome della città dei «Parisi», oggi chiamata Paris (in italiano Parigi), capitale della République Française. Nell'immaginario di ogni europeo Parigi rappresenta probabilmente la più forte connotazione simbolica del vecchio continente. E i motivi sono tanti per dare ragione a chi la pensa così. Non sono molte le città al mondo in grado di vantare una storia e delle radici qualificate come quelle che vanta Parigi. Possiamo far valere le nostre ragioni come vogliamo, ma non è possibile nascondere cos'è e cosa rappresenta da secoli Parigi per tutti coloro che amano l'Europa. Lei vanta gli scenari storico-artistici più maestosi che si possano immaginare e una pluralità di opere d'arte che spaziano in tutti i settori dell'umana conoscenza. E' una grande città. Anzi, è una grande metropoli. Qui l'aggettivo grande non è inteso come estensione geografica o come mera altezza di grattacieli. Come è facile intendere, l'aggettivo si riferisce alle "qualità" delle opere insigni presenti nella città che spaziano, come poche al mondo, in tutti i campi del sapere umano: dalla politica alla società, dalla scienza alla filosofia, dalle lettere all'arte, dalla moda alla cinematografia, dalla cucina allo sport, etc. Non ci sono settori della vita umana ai quali Parigi non abbia messo l'imprimatur per alcune delle cose più grandi dell'ingegno umano. Ed è questa la città che sto per visitare. Finalmente potrò coronare il sogno di una vita di vedere direttamente, con i miei occhi, la capitale della France, la douce France. Un sogno che diventa realtà: camminare nelle strade della città della Tour Eiffel come metafora per evidenziare l'emozione del mio quarto viaggio nelle capitali dell'UE.

Premessa. Scrivere di Parigi in un diario di viaggio è difficile. Le ragioni sono molteplici perchè la capitale francese è talmente ricca di preziosi tesori che il solo fatto di fare un cenno alla loro esistenza mette in crisi chiunque. La preoccupazione è accresciuta dal fatto che da un lato è un piacere parlare di lei, mentre dall'altro è un timore per le troppe cose che è necessario conoscere per poterne riferire con cognizione di causa ed evitare banalità.

Si risponda alla domanda: «chi da giovane studente non ha avuto a che fare negli studi con il pensiero delle grandi figure della cultura francese»? Praticamente nessuno. Negli studi secondari e universitari di tutte le scuole d'Europa non esiste campo della cultura in cui la rappresentatività dei pensatori francesi non sia stata rilevante. Moliere, Hugo, Zola, Descartes, Stendal, Baudelaire sono i primi sei nomi che mi vengono in mente quando penso alla cultura francese. Narrativa, teatro e filosofia non sono però tutto. Certo, quando si pensa all'immagine della cultura di un paese per primo vengono subito in mente proprio questi filoni del sapere umano. E tra essi, il grande romanzo dell'800 (a parte quello russo) è quello che colpisce di più. Parlare di cultura francese significa richiamare alla mente un elenco interminabile di figure francesi presenti in tutti i campi. Letteratura, arte, musica, scienza sono piene di insigne figure francesi. A ragione di ciò Thomas Merton, il grande maestro della spiritualità contemporanea, nel suo straordinario libro La montagna dalle sette balze, Garzanti, 1997, esprime tutto il suo amore per la Francia affermando che : "ma la cosa meravigliosa della Francia è il modo in cui tutte le sue perfezioni si armonizzano".
Questa è la prima volta che vado a Parigi. France è il nome originale della nazione  e Paris quello della sua stupenda capitale. Per evitare di essere definito provinciale è bene che mi adegui subito a chiamare la nazione e la capitale con i loro veri nomi: Paris e non Parigi, France e non Francia. Quando ero bambino mi sembrava buffo chiamare la capitale francese con la sua pronuncia corretta, e cioè «Parì». La questione della dizione corretta dei nomi delle capitali e delle nazioni è una faccenda maledettamente seria che a mio parere viene sottovalutata da molti in Italia. Sarà a causa del provincialismo degli italiani, sarà perchè c'è molta ignoranza a proposito di conoscenze di lingue straniere, fatto sta che è necessario essere più corretti e precisi nella pronuncia delle parole straniere. Provate a Roma, nei due quartieri di Trastevere o di Testaccio, a dire il nome della città dei sette colli pronunciandola Rome, o Rom e vi accorgerete che anche se gli indigeni capiscono, mostrano di non capire o, peggio, faranno malvagia derisione sghignazzando in forme provocatorie. Non dimentichiamo che durante i Vespri siciliani per individuare i francesi che si camuffavano fra la gente del luogo per non essere individuati, gli indigeni scelsero una parola che, per le sue difficoltà di pronuncia, era molto difficile ai francesi da articolare. La parola fu il sostantivo ceci, in lingua siciliana («cìciri»). Se avessero pronunciato "sciscirì" sarebbero stati riconosciuti come francesi e per i poveretti non ci sarebbe stato scampo. Pertanto, prometto da questo momento in poi di tenerne ragionevolmente conto. Di solito quando si ha un progetto di visite numeroso come quello che ho in mente - di visitare cioè non solo Paris ma anche Wien, Madrid, Lisboa, Berlin (Roma, Amsterdam e London le ho già visitate)  e tutte le altre fino ad arrivare a diciassette quante sono oggi le nazioni dell'UE - è evidente che sarebbe difficile pensare di ritornare di nuovo in una città già visitata. Le altre città ancora non svelate da un viaggio che mi manca hanno evidentemente la precedenza. Ma Paris è Paris. A questo proposito ho molta confusione su questa visita. Sono troppe le cose che vorrei vedere. Mi trovo in uno stato di "euforia da viaggiatore" che vuole vedere tutto. Un’idea ce l’ho comunque chiara in mente. Paris è una città tanto straordinaria quanto completa che la adotterei come la “mia città”. Sono del parere che ci vivrei benissimo per tutta la vita. O almeno credo. Lo stesso non potrei dire di altre città capitali dell’Unione Europea, pur esse belle nella loro originalità e peculiarità. Non parliamo poi di città extraeuropee. Per carità. Prendiamo per esempio Città del Lussemburgo. Sono convinto che la bella città del Granducato è molto carina (lo verificherò quando ci andrò prossimamente) ma a viverci tutta la vita no. Dunque, perchè per Paris mi sento di dire si e per altre no? Penso che uno dei motivi fondamentali sia la storia di questa città e quanto il suo ruolo sia stato tanto importante nella mia educazione tanto da averne fatto un mio modello di stile di vita personale. Quando penso a Paris, e quindi alla France, uno dei miei primi pensieri è la Rivoluzione francese. Pensare che i parigini abbiano potuto tagliare la testa ai coniugi reali Luigi XVI e Maria Antonietta, annullando in un solo colpo i  famosi “diritti” del trono, mi ha sempre colpito come fatto storico necessario e come male minore. Sono consapevole del fatto rivoluzionario che il loro gesto ha significato, nella storia e nella politica dell'umanità tutta, la conquista irreversibile della democrazia moderna. Avreste mai immaginato possibile un evento del genere in Italia? Impossibile. E poi l’Italia ancora non esisteva come nazione unita. E perché non lo hanno fatto gli altri prima? Si, è vero nel secondo decennio del ‘900 con la Rivoluzione di Ottobre del '17 in Russia si è verificata la stessa cosa con lo Zar e la Zarina. Ma lo hanno fatto quasi 130 anni dopo la presa della Bastiglia! Non solo i russi sono stati secondi, e non primi, ma hanno goduto del privilegio di avere avuta la strada spianata da Karl Marx, il quale con le sue idee politiche agevolò il compito ai rivoluzionari russi indicando loro la strada da intraprendere. La differenza non è marginale. Dunque, i parigini hanno fatto una vera e propria rivoluzione storica, sociale e politica e meritano stima e considerazione per le conseguenze che il loro gesto ha portato nel mondo dei diritti umani. Liberté, égalité, fraternité fu il motto ufficiale della République Française. Tutto questo per dire che la France, non solo è douce ma, per me, è anche superbe. Noi italiani siamo considerati i loro cugini. E in effetti è così. Ma cugini non vuol dire che siamo come loro e spesso cadono le braccia nel vedere lo squallore di alcuni nostri comportamenti. Pertanto, permettetemi di dirlo qui una volta per tutte: stimo e amo Paris e toute les parisienne. Non mi ripeterò più. A conclusione di questa premessa dico che quando finirò il mio tour non escludo di poterci tornare, perché qui c’è tanto da vedere che non basterebbero dieci, cento visite.

Primo giorno Sabato 18 Agosto. Iniziamo dal viaggio aereo che mi porta da Roma a Paris. Partenza alle ore 08.00 dalla stazione ferroviaria di Roma Ostiense, vicino alla Piramide, con il treno per Roma Fiumicino.

Arrivo all'aeroporto Leonardo da Vinci in orario. Al gate5 mi aspetta un aereo dell'Alitalia delle 11.00 per Paris Roissy Charles de Gaulle. Il biglietto ha il codice AZ 320 posto 27A all'andata. Il biglietto l'ho acquistato il 7 agosto all'agenzia "Sfogliaviaggi srl" di viale Londra a Roma. Il ritorno avverrà il 23 agosto da Paris CDG per Roma FCO, codice AZ 327 delle 18.25. Rapide formalità al check-in ed eccitante sensazione al gate5 in attesa che scocchino le ore 9.30 per l'imbarco. Trascorro più di mezz'ora a passeggiare piacevolmente e a osservare il via vai dei passeggeri. Nei vari spazi di attesa c'è di che recriminare per la pessima pulizia e l'igiene della sala in cui mi trovo che è sporca e piena di cartacce. I sedili in "simil pelle" di plastica rossa sono sgualciti e unti di sporcizia. I vasi con le piante sono colmi di cicche di sigarette. Un pessimo biglietto da visita per i turisti che rientrano a Paris e che vedono tutto questo. Pochi minuti dopo sono seduto comodamente sull’aereo.  Speriamo bene. Penso a questo viaggio con grande gioia.

Dopo Roma, Amsterdam e Londra, questo è il mio quarto viaggio nelle capitali dell'UE. La sensazione che provo in questi momenti è dello stesso tenore dell'ultimo viaggio che ho effettuato l'anno scorso, a Londra. Paura di volare ma forte emozione di atterrare fra un paio di ore al Charles De Gaulle di Paris, non più Heathrow a Londra. La guida di viaggio che ho in borsello è piena di informazioni preziose che ho studiato con attenzione. Prevede molte visite da effettuare in tutte le giornate. Il programma di massima delle visite che ho stilato a casa è così schematizzato. Sabato: Théâtre de l'Opéra. Domenica: La Villette, Les Invalides, Place de la Concorde, la Madeleine, Notre Dame e la Bastille. Lunedì: Champ de Mars, Tour Eiffel e Radio France. Martedì:  Champ Elysée, Palais de Couvert, Arc du Triomphe, la Défense. Mercoledì: Montmartre, Pigalle, Louvre. Giovedì si ritorna a casa a Roma. E’ ovvio che questo è il programma di base. Vedremo come si svilupperà nel concreto della vita parigina. Non avrò problemi a modificarlo in itinere adattandolo con elasticità alle varie esigenze. Il viaggio lo effettuerò con una gentile compagna di viaggio seduta nella foto ad aspettare la partenza insieme a me. All'arrivo non avrò problemi col cambio perchè questa volta ho acquistato in Italia in banca la valuta francese. Si tratta di 3250 FRF che mi permetteranno di muovermi nella bella capitale francese.

Penso a come troverò Paris e a cosa proverò nel vedere alcuni dei preziosi tesori della cultura francese. Avenue des Champs-Elysées, Montmartre, il Louvre e la Villette sono alcune mete che desidero vedere da una vita. Non faccio in tempo a pensare ai luoghi più affascinanti di Paris che l'aereo sta rullando sulla pista. Si parte in perfetto orario. Il volo è piacevole nonostante la preoccupazione di trovarmi a 10 km di altezza sostenuto solo e soltanto dalla diversità di pressione dell'aria sotto e sopra le ali. Difficile da crederci ma è così. Faccio di tutto per non pensarci. Al finestrino ammiro le cime delle Alpi ancora innevate e riesco anche a osservare alcuni grandi laghi svizzeri. Il volo è gradevole anche in considerazione della parte ludica che l'Alitalia offre ai passeggeri, intrattenendoci con la solita visione delle gag comiche nel piccolo monitor davanti a me. Ogni volta che viaggio in aereo è uno dei momenti più piacevoli perchè mi permettono di dimenticare la paura del volo e di ridere spesso con molta partecipazione. Il viaggio dura 2 ore e dieci minuti e poco dopo, sono al gate di uscita del Terminal 9 della città della Tour Eiffel. In aeroporto compro l'abbonamento ai trasporti della città di Paris per cinque giorni. Mi danno un piccolo biglietto, chiamato PARIS VISITE Zones5, apparentemente rigido a forma rettangolare, con una striscia argentata longitudinale nel bordo superiore, da inserire, immagino, nelle macchinette dei tornelli d'entrata del metro. Nella foto mi trovo nella banchina in attesa del treno per Paris. Per spostarmi in centro città prendo la RER, ovvero la rete espressa regionale, che dall'Aéroport Charles de Gaulle attraverso Le Bourget e Stade de France mi porta a Les Halles. Il biglietto acquistato mi permette di girare sia in metro, sia in RER, sia sugli autobus, evitando fastidiosi casi e conseguenze antipatiche di aver dimenticato l'acquisto del biglietto. A Les Halles prendo la linea 14 per Saint-Lazare e scendo a Madeleine dalla quale, con l'ultimo cambio, prendo la linea 8 per Balard, fermata Boucicaut. L'albergo è a poche decine di metri. Ho preteso dalla mia agenzia viaggi che l’albergo non si trovasse in periferia. In ogni caso che fosse all'interno del B.P. cioè del Boulevard Péripherique. Si chiama Hotel Montcalm e si trova al numero 50 di Avenue Fèlix Faure nel XV arrondissement. Attenzione a non confondere Avenue Fèlix Faure con Rue Fèlix Faure. Le due strade sono molto vicine ma differenti. Il nome Fèlix Faure si riferisce al Presidente della Terza Repubblica francese che fu Capo dello Stato alla fine della seconda metà dell'Ottocento. Come ho detto prima la sua posizione è praticissima perchè si trova a poche decine di metri dalla fermata della metropolitana di Boucicaut, linea 8, che parte a sud da Balard e arriva a nord all'altro capolinea di Pointe du Lac. Questa linea del metro parigino mi sarà familiare nei prossimi giorni, perchè non solo c'è l'albergo dove alloggio ma anche perchè ha molte stazioni importanti nelle quale mi fermerò ripetutamente. Basta ricordare che si ferma a Invalides, Concorde, Madeleine, Opéra, Bastille, etc. In pratica il meglio di Paris. L'hotel Moncalm (Latitudine 48°50'26"N Longitudine: 2°17'13"E) è un tre stelle che mi permette di contenere le spese di pernottamento e contemporaneamente di essere vicino al centro. Ho accuratamente evitato di prenotare la camera in una zona del quartiere latino. Una mia collega, insegnante di francese in un liceo della capitale italiana, mi ha suggerito di evitare quei posti. A suo dire sono pericolosi e, dunque, alla larga. Dico la verità: questi avvertimenti mi condizionano non poco e quindi ho seguito alla lettera i suoi consigli. Probabilmente sbaglierò ma quando non si conosce il luogo di arrivo che si intende visitare è meglio ascoltare gli altri. Vedremo se il mio giudizio è stato o meno un pregiudizio. L’albergo si trova a sud-ovest, nella parte meridionale di Paris, nell’area interna del B.P., il G.R.A. parigino. Tanto per intenderci, è come se a Roma abitassi nella zona EUR all’interno del Gran Raccordo Anulare. Il quartiere non è residenziale ma popolare e si tratta di un quartiere poco caratteristico ma tipico delle zone in cui vivono i ceti sociali costituiti da salariati e impiegati. Gli edifici di Rue Fèlix Faure non sono molto alti, hanno quattro o cinque  piani al massimo, le linee semplici e gli angoli smussati; niente tapparelle alle finestre e le strade che la circondano sono poco curate. Quello che mi colpisce di più sono le vie diritte e lunghe in modo pressoché senza soluzione di continuità. Avenue Félix Faure, Rue Lecourbe, Rue de Vaugirard, Rue Saint Charles, Rue Balard, Rue de la Covention, per esempio, sono sei strade che soddisfano la condizione della rettilineità per almeno un chilometro. Rue Saint Charles addirittura è la strada più lunga dell'intera capitale francese. Almeno così dice la mia guida di Paris. Nelle città italiane, specie quelle antiche, le strade non solo non sono quasi mai rettilinee e spesso presentano ampie curve ma sono corte e cambiano addirittura nome in alcuni tratti. Tutto ciò non è il risultato di una disposizione dovuta al caso ma una scelta precisa degli amministratore parigini il cui inizio è dovuto al barone Georges E. Haussmann che sotto le direttive di Napoleone III decise di risistemare Paris in maniera tale da manifestare un ordine più geometrico con lunghe strade che si tagliassero in linee rette. In Italia, invece, tra vincoli paesaggistici, scelte architettoniche sbagliate e interessi personali di gruppi di potere municipali ci troviamo città completamente lasciate alla deriva con episodi di saccheggio paesaggistico vergognosi. Ma questa è un'altra storia che qui interessa poco. All’interno dell’albergo, subito sulla sinistra, vicino alla porta d’entrata, c’è la reception, piccola e ristretta in un angolo che dà un'immagine di alberghetto di provincia. L’impiegato addetto alla reception è un signore, immigrato del Magreb, che parla italiano abbastanza fluentemente, che mi mette a proprio agio. Si chiama  Jalouali Mohamed Mehdi ed è una persona molto gentile. Le poche cose che ci siamo detti al primo contatto è che a entrambi piace il cuscus, una delle pietanze nazionali di ogni paese arabo del nord Africa.

In verità a me piacciono anche altre pietanze della cucina araba. I "falafel" e l"'hummus" prodotti con farina di ceci, il "ful mudammas" con le fave, le olive verdi e nere con il peperoncino, i datteri e i "magrudi". Datteri e gherigli di noci poi sono un'accoppiata classica molto gustosa di fine pasto in grado di sostituire il dessert. La simpatia, la professionalità e la reciproca stima lo portano a darmi la sua mail per eventuali spiegazioni. Ma ritorniamo all'albergo. La camera che mi viene assegnata si trova al quarto piano. Non è spaziosa, ha un letto e dei mobili in vecchio stile anni '60 di colore scuro deprimente. C'è una finestra, dalla quale si può vedere il giardino privato dell'hotel nel retro, immerso nel verde di piante rampicanti. La sistemazione non è di mio gradimento ma non è possibile fare altro e a malincuore confermo la mia prenotazione. Sono quasi le 16.00 e ho mangiato solo qualche crackers. Urge mangiare qualcosa. E' meglio che mi prepari per uscire la prima volta a Paris. So già che andrò nel centro, in Place de l'Opéra, dove inizia il Boulevard des Italiens, e là cercherò un ristorantino per mettere qualcosa sotto i denti. Paris è una città così bella e interessante che apprenderne i segreti e conoscerla fino in fondo è un esercizio piacevole e avvincente. Conoscere la mappa e il modo in cui sono distribuiti nella città i posti più interessanti è utile e necessario. Se si vogliono conoscere poi anche i dettagli dei distretti parigini, relativi alle circoscrizioni municipali, è necessario conoscere  i quartieri  che qui si chiamano Arrondissement. Paris ne ha venti. A seconda del loro numero sono più o meno importanti. La gerarchia si sviluppa secondo la logica che più il numero dell’Arrondissement è grande più il quartiere si trova nella fascia esterna e periferica della città. In altre parole la sequenza dell’importanza degli Arrondissement segue la voluta di una curva a chiocciola, dal primo che si trova al centro fino all'ultimo, il ventesimo, situato all’estremo finale. Per dire la verità avevo sentito parlare una volta di questa stranezza parigina, ma non avevo prestato attenzione. Adesso, finalmente, l'ho capita. Si prova una certa soddisfazione nel conoscere una novità del genere che permette di sperimentare direttamente e concretamente la sua utilità nell'esercizio di una visita turistica. Muoversi con maggiore o minore facilità in una grande città dipende dal grado di conoscenza dei meccanismi municipali che possono aiutare molto il viaggiatore. Certo, con una guida in mano e con tutte le informazioni su Paris che circolano su stampa, televisione e, adesso anche in internet, tutto è ormai agevole. Sono lontani i tempi in cui spostarsi in una città straniera era come un'avventura. Rimane il fatto che si tratta sempre di una città straniera che propone informazioni in una lingua straniera con metodi e prassi differenti da quelli italiani. Un esempio? Prendiamo Roma. Anche la capitale italiana ha i suoi quartieri. A parte il fatto che Roma ha 35 quartieri, anzi è meglio dire XXXV quartieri, con il numero romano, la sequenza con la quale questi ultimi si distribuiscono nella città è caotica e disordinata. Personalmente non ho mai capito il senso del perché dopo il Q.XX chiamato Ardeatino, dove abito io a sud della città, il successivo Q.XXI si chiama Pietralata e si trova a nord est, completamente fuori zona. Una vera e propria assurdità logica e geometrica, per non parlare di confusione vera e propria, senza raziocinio e all’insegna,  come si dice a Roma, del  “volemose bene”.  Ritornando a Paris la sequenza degli Arrondissement segue invece una logica ferrea. Si sviluppa pressappoco secondo la forma di una curva a spirale, con tre anelli. La spirale è una curva che si avvolge attorno a un determinato punto centrale, partendo dal centro e allontanandosi progressivamente. In matematica ci sono tanti tipi di spirale, una delle quali è quella “logaritmica”, che ha una forma matematica bellissima e cioè r = a e^bθ o, meglio, θ=(1/b)ln(r/a) da cui il nome logaritmica che si ritrova spesso in natura come nel caso di una conchiglia o di un ciclone o di una galassia. Ho citato la spirale logaritmica perché il primo ad averla studiata è stato un grande francese dal nome famoso Descartes (in italiano Cartesio) che merita di essere citato non foss'altro perchè dire cartesiano significa sinonimo di matematico, di rigore e di certezze scientifiche. Il mio hotel si trova nel 15° Arrondissement (codice postale 750215) dove si trova la fermata Boucicaut del Metro, linea 8. In un certo senso c’è una analogia tra la posizione del mio albergo a Paris (codice postale 750215) e quella di casa mia a Roma (cap 00142) posti entrambi nella parte sud della città. La mia prima uscita parigina prevede dunque di dirigermi verso il centro. Non voglio fare soste inopportune da nessuna parte (anche perchè è già tardi) e prendere subito la linea 8 del metro a Boucicaut e scendere alla fermata davanti al Théâtre de l'Opéra. Mi sposto così dal 15° al 9° Arrondissement. L'imponente facciata in stile Napoleone III del teatro si staglia davanti a me all'uscita del Metro. Bellissima e straordinaria. In caratteri dorati giganteggia la scritta «Academie Nationale de Musique - Choregraphie - Poesie Lyrique» a testimonianza che canto, musica, poesia e lirica sono una felice sintesi del sublime ingegno umano di cui i francesi possono vantarsi di essere anche qui ai primi posti in tutte le categorie dello scibile umano. Che bella sensazione provo nell'ammirare tutto ciò che i miei occhi possono vedere. Mi seggo sugli scalini del teatro come se fossi a Piccadilly Circus. Ma qui è tutta un'altra musica. Mi sento più a mio agio e la sensazione di trovarmi a casa mia è forte. Pochi minuti perchè a due passi, nella Rue Aubert, c'è una brasserie dove si mangia anche la pizza. Una "margherita" con un piatto di insalata e una bottiglia di birra dolce  d'Abbazia a doppio malto bionda "Leffe" costituiscono un piacevole momento di rilassamento all'interno del locale. Ne avevo proprio bisogno. Avevo fame. Sento un impulso irresistibile di rimanere in zona. Tutto è troppo bello per non continuare a rimanere qui e osservare il via vai della gente e l’architettura dei palazzi. Anche se ci sono molte persone che stazionano all’uscita del Metro di Place de l’Opéra vedo intorno a me molto ordine e pulizia. Mi colpisce di vedere in pieno centro di Paris, qui vicino, il Boulevard des Italiens. Di solito nelle altre città d’Europa c’è poco di nomi italiani. Ad Amsterdam e a Londra quasi nulla e se proprio si vuole trovare qualche via che ricordi l’Italia c’è un solo nome di un italiano in cui sperare: Giuseppe Garibaldi. E' il solo nome italiano  che si può trovare all’estero e mette tutti d’accordo. Qui viceversa c’è un intero viale dedicato a una collettività di persone, anonime e famose, d’Italia. Traducendo, il nome suona pressappoco così: "Viale degli Italiani". Bello. Mi piace. Attenzione, non «Boulevard de l’Italie» ma «des Italiens» per rimarcare che la scelta non è caduta sul nome dello Stato o della Nazione come Piazza di Spagna a Roma (e non "Piazza degli Spagnoli"), tanto per intenderci ma dei cittadini. Fa una certa differenza, no? E siccome io sono italiano, vuol dire che il viale è anche dedicato a me. Inferenza logica, si dice in questi casi. Dunque, abbandono ogni altra tentazione per dedicarmi al nutrimento della mente e del cuore e provare sensazioni piacevoli. In che modo? Lo percorro per intero, a piedi, godendo della visione. Place de l’Opéra divide quasi a metà l’intera strada, che va da Place de la Madeleine, con i due nomi di Boulevard de la Madeleine e  Boulevard des Capucines, fino a Boulevard de Montmatre fermata Metro Richelieu-Drouot che si chiama Boulevard des Italiens. Una delle cose che mi colpiscono lungo il viale dedicato agli italiani è che a ogni angolo di strada c’è il cartello con lo sfondo blu sul quale è scritto il nome della via. A ogni angolo c’è la targa con il nome. Una attenzione che lascia piacevolmente meravigliati. La cura con la quale sono presenti le targhe con i nomi delle vie è veramente notevole, segno di organizzazione e di sensibilità degli amministratori che allontanano l’idea di pressapochismo e di sciatteria. Per rimanere in tema di indicazioni topografiche dedicate agli italiani c’è da dire che a Paris ben sei fermate del Metro hanno sei chiari nomi italiani e sono: Garibaldi (linea 13), Rome (linea 2), Port d’Italie (linea 7), Place d’Italie (linee 5, 6 7), Magenta (linea E), Solferino (linea 12). Poi ci sono le strade, una delle quali si chiama rue de Mondovì (fermata metro di Concorde). Altre sono Rue Galilée, Avenue Léonard de Vinci, Rue de Bassano e forse altre. Non sono poche. Anzi. Credo che sia un record mondiale. In nessun'altra città straniera si è data tanta importanza ai nomi italiani come a Paris. Un vero record. A Roma, poco specularmente, ci sono un Corso Francia e una via Parigi. Certo a Roma c'è l'ambasciata francese a Piazza Farnese il cui edificio è uno dei più belli ed apprezzati di Roma. Ma secondo me non basta per equilibrare il tutto. E' tardi e la stanchezza si fa sentire. Una sosta notturna in hotel dovrebbe rigenerarmi per l'indomani.

Secondo giorno Domenica 19 agosto. Il programma di questa prima mattina di visita alla città prevede di andare a vedere il più grande museo della scienza di Francia e cioè La Cité des Sciences et de l'Industrie, comunemente chiamato La Villette. Prendo il metro a Bucicaut, linea8, fino all'Opéra, da cui con la linea 7 vado a Porte de la Villette. Da qui a piedi arrivo nell'enorme piazzale davanti all'edificio centrale. C'è molta animazione e tanti bambini. La città della scienza è un edificio imponente in cui si possono visitare molte aree nelle quali sono presenti tanti temi che interessano vasti settori del sapere scientifico. Io sono interessato alla sezione museale; in particolare a quella della strumentazione scientifica relativa alla fisica dei secoli XVIII, XIX e XX. E' di mio interesse anche la sezione Explora che prevede approfondimenti su società industriale, strumenti, la Terra e l'Universo. In Explora le mostre sono di due tipologie, permanenti e temporanee e, a latere, c'è la sezione astronomica con il suo ottimo planetario.

La città si struttura su cinque livelli. Al livello -2 c'è il Geode, una sfera di 36 metri di diametro in cui si vedono dei documentari scientifici in tre dimensioni, come al cinema IMAX di Londra, dove sono stato lo scorso anno. I livelli che mi interessano sono il primo e il secondo. Al primo livello ci sono le immagini scientifiche, la matematica, la terra e i pianeti. Al secondo livello giochi di luce, l'Universo con approfondimenti astronomici, in particolare il Planetario. Anche a livello 0 ci sono altre interessanti proposte come la cinematografia dei fratelli Lumière. Sono un po' perplesso perchè l'edificio non ha la forma classica del museo della scienza. In più è un edificio moderno, costruito qualche decina di anni fa. In realtà la città della scienza non ha nulla a che vedere con il normale museo come lo intendiamo noi, pertanto affronto la visita con un animo poco disposto a gironzolare senza chiare indicazioni di ciò che devo vedere. Al piano ingresso, accanto al chiosco dell'accoglienza, c'è la biglietteria. C'è molta gente nell'androne, gente che va e che viene e ragazzi in libertà. Vado nella sezione Explora che raggruppa le principali esposizioni permanenti incentrate sui alcuni temi: le matematiche, l'immagine, i suoni, i giochi di luci, lo spazio, l'oceano, l'energia, rocce e vulcani, stelle e galassie ecc. Poi vado a vedere il Planetarium, che è il più grande della Francia, per un viaggio nello spazio alla scoperta dei pianeti e delle stelle. Lo spettacolo è straordinario e le stelle sembrano vere nel cielo del soffitto del planetario. E' bello girare per i vari livelli. Sembra di essere in dimensioni minori e in forme meno raffinate e moderne, in una fiera di paese, quando ci si sposta dalla mostra dei muli e degli asini in cui si acquistano gli animali guardando loro i denti alla sezione alimentare, dove troneggiano formaggi e salumi. Più in là c'è il mulinello dello zucchero filato, il banco delle noccioline e dei ceci tostati nonché quello dei vari tipi di liquirizia e di dolcetti.

Qui invece c'è il cilindro rotante in cui a una determinata velocità di rotazione si apre il pavimento e i ragazzi con le spalle appoggiate alla superficie interna del cilindro riescono a rimanere letteralmente incollati alla parete senza cadere. Oppure c'è il raggio laser e le immagini spettacolari dello spazio, dove pianeti, satelliti e stelle la fanno da padrone. Spettacolare è anche la cinematografia della natura negli oceani, della savana come ai poli con orsi e pinguini. In pratica c'è di tutto, e c'è più di ogni altra cosa l'atmosfera magica del divertimento per far sognare i ragazzi e interessarsi della scienza. Avete mai visto qualcosa del genere a Roma? Ho scelto di proposito La Villette come mio primo museo parigino perchè è un museo scientifico. La mia curiosità nel vedere un museo del genere in un grande paese sviluppato come la Francia é enorme. Adesso però intendo spostare la mia attenzione alle strade della città, ai monumenti e ai palazzi. In senso inverso prendo il metro a Porte de la Villette e scendo alla fermata di Invalides. La Esplanade (Spianata) des Invalides, con il suo grande e perfetto parco verde, si presenta davanti a me nella sua memorabile bellezza. Tra Place des Invalides e Pont Alexandre III c’è l’enorme Boulevard du Marêchal Gallieni che sembra essere fatto apposto per ricordare un viale da sfilata di forze armate, tanto è grande, bello e lineare, con lampioni da primato nel numero, nell'altezza e nella forma.

Qui tutto è grande. Nell’area degli Invalides ci sono ben tre fermate Metro e una RER, a testimonianza dell’importanza di questo bellissimo luogo nel centro città. Non parliamo poi della bellezza della forma dell’Hôtel des Invalides, con la sua cupola maestosa e il gruppo di edifici circostanti. Si tratta di un'autentica rarità di architettura e un balsamo efficace per gli occhi. Semplicemente spettacolare. Verità mi impone di ricordare che questo complesso è stato costruito per i vecchi soldati invalidi ed ex combattenti. Qui, dalla fine del '600, c'è tanta storia della Francia che sarebbe bello poter ricordare. E' stato caserma, hotel, giardino, chiesa, museo, ci sono stati i funerali di Stato di Napoleone, o, meglio, della salma inumata a Sant'Elena e riportata qui dopo vent'anni, e tanto altro. Addirittura esiste all'interno degli edifici una manifattura che confeziona, pensate un po', uniformi per i militari e una stamperia, nonché un ospizio e un ospedale militare. Con tutta questa lungimirante organizzazione alle spalle. di supporto e di psicologia, sfido io se l'esercito francese non fosse stato temibile per tutti. Nella foto alle mie spalle si riconosce il complesso degli Invalides con al centro la cupola dorata. Tra la cupola e il frontone c'è un enorme cortile che non è visibile dall'esterno. Alle spalle del complesso la spianata si restringe di molto, riducendosi a un bel viale, chiamato Avenue de Breteuil, anch'esso molto lungo con al centro dei bei prati verdi molto curati. Questo viale termina dove inizia la lunga Rue Lecourbe che, lo abbiamo già detto prima, porta vicinissimo al mio albergo in rue Fèlix Faure. Per questo particolare poco significativo possiamo affermare che Paris è piccola? No di certo. Ma fa piacere avere sotto controllo la geografia della città. All'interno della cupola, come soffitto, nella parte superiore dell'abside c'è un dipinto molto bello dai colori accesi e forti che ricorda il giudizio universale di Michelangelo. La chiesa è spaziosa e bella. Mi ricorda, sebbene in forme rimpicciolite, la parte absidale della Basilica di S. Paolo fuori le mura a Roma.

Certamente a S. Paolo c'è lo splendido mosaico dell'abside semi circolare, della prima metà del XII secolo, con la grande figura del Cristo benedicente in mezzo agli apostoli. Ho molti ricordi di questo splendido mosaico tutti relativi alle numerose volte che sono andato di domenica ad ascoltare la messa. Seduto su una delle panche di fronte al coro ho spesso alzato lo sguardo a osservare la figura del Redentore seduto sul trono con il libro dei Vangeli aperto nella mano sinistra ed in atto di benedire. Ai suoi lati, si vedono i santi Pietro e Paolo, affiancati dai santi Andrea apostolo e Luca evangelista. Nella striscia semicircolare immediatamente sotto, alternati da palme, appaiono dodici apostoli e due angeli al centro. I loro nomi sono scritti in greco e sono di difficile lettura per la grafia antica adoperata. Il particolare che mi ha sempre colpito è che ai piedi del trono, è raffigurato Papa Onorio III in dimensioni piccolissime che rende omaggio a Cristo. La sensazione che si prova a stare lì è di essere dei piccoli attori su un palcoscenico prezioso immerso in uno spazio chiuso straordinariamente grande e pieno di fascino dovuto alla antichità del luogo. L'accostamento tra le due cripte è un po' forzato ma lo ritengo utile per un mio personale raffronto. In entrambe le chiese, al centro, c'è una specie di cripta circolare che qui, in una bara, contiene i resti di Napoleone mentre a S. Paolo a Roma nell'analoga cripta si trovano i resti del corpo di S. Paolo con le catene che lo tennero legato durante l'esecuzione e sepolto qui dopo il martirio. All'esterno gli Invalides mi ricordano la Basilica di S. Pietro, naturalmente a causa della bellezza simmetrica e perfetta della cupola non certo per le dimensioni. Tra il viale centrale e il grande prato si respira un'atmosfera surreale che comunica l'idea di una grandiosità discreta, da osservare con celata attenzione, senza tanto stupore ma con consapevolezza della meraviglia. Nell'altra foto, sullo fondo, si vede il Pont Alexander III nella sua magnifica esuberanza di ninfe, ghirlande, candelabri di bronzo e statue equestri luccicanti d'oro. Ho eletto questo ponte come il mio preferito su tutti i trentasette esistenti in città. E' regale, ha una balaustra bellissima e dei lampioni che più decorati di come sono non potrebbero essere. Cosa si vuole di più? Noto tuttavia che c'è qualcosa fuori posto. Non capisco bene che cosa, ma sono a disagio. In un primo momento non colgo la vera ragione del mio disorientamento. Ma ad una osservazione più attenta vedo un graffito che deturpa l'immagine pulita della facciata interna del ponte. Un vero attentato all'arte. L'orrore però è su ciò che c'è scritto: «Luca e Fabio Roma» seguito da uno scarabocchio di data, scritto con una bomboletta spray di colore nero sul bianco pulito della balaustra. Vergogna e irritazione sono i primi sentimenti che provo. "Eccoli là", mi dico, "sono i soliti idioti romani che hanno mostrato il loro biglietto da visita". Percorro il ponte con una forte vena polemica per questo volgare cenno di stupidità umana. Oltre la Seine intravvedo il Neuf du Grand Palais, un insieme di musei interessanti che voglio visitare. Oltre il ponte giro a destra sul Voie Georges Pompidou e, attraverso il Pont de la Concorde (altro ponte bellissimo), mi trovo così nella straordinaria Place de la Concorde all'inizio degli Champs-Élysées. Al centro c'è l'obelisco egizio di Luxor, vecchio del XIII secolo a.C. (avanti Cristo e non dopo Cristo), che è una meraviglia. Adesso che lo vedo da vicino posso veramente farmi un'idea della sua bellezza e perfezione e soprattutto del perchè Napoleone si fermò in Egitto, sorprese gli egiziani, li sottomise con una semplice battaglia lasciandoli di stucco per la velocità e l'efficacia con le quali il suo esercito batté quello egiziano. Per ingraziarselo gli egiziani gli regalarono l'obelisco. Qui, in questa bellissima piazza, lo ricordo a me stesso e a voi tutti, nel 1793 fu ghigliottinato Luigi XVI, a quel tempo chiamata piazza della Rivoluzione. Ricordiamoci chi fu Maria Antonietta. Quando la folla rumoreggiava e stava assaltando il palazzo, chiese alla governante il perchè di quel baccano. La risposta fu che la folla protesta perchè la gente non aveva pane. E lei rispose: "perchè non mangiano delle brioches"? Chissà in quale punto preciso. Dal centro della piazza proseguo nella Rue Royale che arriva direttamente alla Madeleine. Ah! La Madeleine. Questa antica e celeberrima chiesa cattolica costruita in stile neoclassico che nessuno considera una chiesa ma un vero e proprio monumento, circondato da una quantità enorme di perfette colonne corinzie, è a mio giudizio un complesso architettonico straordinario, bello e spettacolare. Non mi stancherei mai di osservarlo per ore. Decido di fare il giro della struttura e guardarla con cura. Ripeto il giro un'altra volta con l'intento di osservare anche i palazzi adiacenti che la circondano. In fondo alla piazza, all'angolo con Rue Tronchet, c'è "Fauchon", il ristorante Fauchon. Ho detto all'angolo, in realtà prima di arrivare all'angolo si susseguono qualcosa come una decina di vetrine tutte appartenenti allo stesso locale che lasciano intravvedere la completezza della proposta culinaria: ristorante, pasticceria, sala da thè, cioccolateria e molto altro. Lo terrò a mente perchè qui voglio venire a mangiare. A pranzo vado al Cafè de la Paix, al numero 5 di Place de l'Opéra per mangiare qualcosa. Forse sarà utile ricordare che il Cafè de la Paix a Paris è un locale di classe, molto fine. A Place de l’Opéra poi il Cafè è un’autentica istituzione. Il Café si trova vicinissimo all'Opéra Garnier a circa alcune decine di metri e rappresenta la quintessenza del XIX secolo. E' stato progettato da Charles Garnier, ha specchi alle pareti e soffitti neoclassici. Oscar Wilde frequentò il locale. Avevo promesso a me stesso che se fossi andato a Paris non mi sarei fatto sfuggire l'occasione di pranzare in questo prestigioso locale. Anni di letture e di attenzioni sui locali di Paris hanno sempre prodotto in me curiosità e desiderio di conoscere e toccare con mano un mito della mia infanzia. Il locale è veramente fine. All'interno ci sono molte colonne e sulle pareti, molte applique dorate con le loro belle luci diffuse.

Sui tavoli tovaglie color crema e sedie alla coloniale di colore chiaro con cuscini di colore verde. Un giovane cameriere, gentile e attento, mi invita a sedermi e mi chiede se voglio il menù alla carta o accettare il suggerimento di ordinare un menù veloce, costituito da un Plateau de fromages affinés e salade, un calice di vin rouges  Chapelle de Potensac Médoc e un dessert Millefeuille du Café de la Paix. Mi lascio tentare dall'impegnativo ed eccessivo francesismo e accetto volentieri il suggerimento. Nel menù trovo elencato un altro tipo di vino rosso, ovvero lo Château Haut-Brion Graves Premier Grand Cru Classé. Per la cronaca questa bottiglia costa venti volte quella a cui si riferisce il vino contenuto nel mio calice. Come dire che se una bottiglia di normale rosso da pasto da me ordinato costasse 10000 lire lo Château Haut-Brion costerebbe 200000 lire. Roba da regnanti. Il cibo è squisito e l’atmosfera piacevole.  L'immagine a fianco rappresenta un dipinto a olio su tela di Antoine Blanchard dal titolo Place de L'Opéra, Café de la Paix (*). Ricordo che Antoine Blanchard è lo pseudonimo sotto il quale si nascose il pittore francese Marcel Masson, morto esattamente tredici anni fa. E' autore di numerose e interessanti tele in cui dipinse alcune strade e monumenti di Paris di cui il Café de la Paix e il vivace Boulevard des Capucines è uno dei tanti eccellenti esempi di scene di strade parigine del suo tempo (anni '60) proiettate nell'immaginario dell'Ottocento. A guardarle con attenzione sembra essere risucchiati nel tempo e fatti precipitare nella Paris dei secoli passati. Che spettacolo. Esco dal ristorante più che soddisfatto. In parte alleggerito per il costo del mini pasto, in parte arricchito per avere conseguito l'obiettivo di una visita gradita e desiderata mi guardo in giro per un ultimo sguardo. Imbocco l'Avenue de l'Opéra per andare a fare una prima visita a Notre Dame e successivamente a guardare cosa succede lì vicino sul Lungosenna.

Place du Carrousel, la lunghissima Rue de Rivoli, Rue du Point Neuf, Quai de la Mégisserie, Pont Notre Dame, Rue de la Cité e ultima Place du Parvis de Notre Dame. La bellissima cattedrale di Paris si presenta con la sua imponente e straordinaria facciata nella "grande" Île de la Cité. Fa un certo effetto osservare la cattedrale da Placea Parvis, antistante l'edificio. Sono in contemplazione come davanti a un totem e non è facile spiegare cosa provo sul piano emotivo. In questo momento, dico la verità, non vedo una semplice chiesa, ancorché cattedrale. No. Vedo un simbolo famoso e desiderato, dai contorni precisi e conosciuti, che racchiude l'intera storia della città di Paris. Ricordo che la cattedrale divenne tale perchè la sua storia iniziò circa duemila anni fa come tempio gallo-romano e poi, via via nel tempo, divenne prima una basilica cristiana e chiesa romana e poi a metà circa del 1100 il vescovo Maurice de Sully decise che era giunto il momento di dare alla città una sede religiosa prestigiosa più adeguata trasformando la chiesa del tempo nell'attuale costruzione più all'altezza dei compiti di Paris. E' sempre stato così. Tutte le storie delle più grandi chiese hanno sempre seguito questo percorso standard. Fino a un certo momento ci si è accontentati del preesistente. Successivamente arriva un vescovo, quasi sempre intraprendente, che rompe la continuità dell'esistente e introduce la novità del cambiamento con una costruzione superba, realizzando un salto di qualità rivoluzionario. Non è un caso che si parla di "rivoluzioni concettuali" in tutto lo scibile umano come architettura, arte, musica, letteratura, storia, filosofia e scienza. Thomas S. Kuhn, nel suo libro La struttura delle rivoluzioni scientifiche, introdusse nel secolo scorso lka giustificazione del cambiamento di un paradigma esistente in un altro rivoluzionario. Ritornando a Île de la Cité ho voluto aggiungere l'aggettivo grande perchè c'è un'altra isola, più piccola lì vicino, che è Île Saint Louis, meno interessante di cui si parla poco. L'aggettivo grande poi ha un altro significato perchè chi viene come me da Roma non può non ricordare che nel Tevere, nel centro di Roma, c'è qualcosa del genere che rassomiglia alla Île de la Cité ed è l'antica e attraente Isola Tiberina che è molto più piccola di quella parigina ma che può permettere di effettuare un confronto e individuare alcune analogie fra le due città.

La piccolezza dell'isolotto romano si traduce concretamente nell'esistenza di un minuscolo ospedale, il Fatebenefratelli, di una farmacia, di un antico Caffè e di una tipica trattoria romana (da "Sora Lella") che ne interpreta l'essenza cittadina. Nulla a che vedere con Île de la Cité che rispetto all'isolotto sul Tevere è un complesso grande e completo della municipalità. In fondo in fondo, in molte città europee ci sono analogie e similitudini sorprendenti che si manifestano in mille modi, a testimonianza della sempre valida considerazione dell'unicità della cultura del Continente Europa. Volete un altro esempio che non riguarda l'Italia? Andiamo in Belgio, nella capitale, a Bruxelles e parliamo della cathédrale Saint-Michel-et-Gudule. Basta poco per verificare che c'è una analogia sorprendente con Notre Dame. Certamente Bruxelles ha sempre subito il fascino e la cultura francese ed in più è un paese che si richiama a due culture, una delle quali è francofona al 100%. Dunque è normale la somiglianza delle due cattedrali. Sulla piazza ci sono tante targhette che indicano i punti in cui sorgevano dei palazzi, poi demoliti per far spazio. C'è anche una piccola lastra di bronzo posta nel pavimento al centro di place Parvis da cui sono misurate le distanze di tutte le strade francesi. Un po' come a Roma nel centro della Piazza del campidoglio che rappresenta il punto di riferimento di tutte le distanze chilometriche dalla capitale. Parvis significa "sagrato" che permette di entrare nel Paradiso perchè il portale della cattedrale rappresenta simbolicamente l'ingresso nel Paradiso. Gli interni di Notre Dame sono grandiosi e imponenti. C'è di tutto. E' difficile descrivere cosa si vede. Tra cappelle, transetto, coro, sagrestia, galleria, torri e cripta archeologica c'è tanta carne sul fuoco della storia dell'arte. In sintesi si tratta di una magnifica cattedrale, splendida icona della bella capitale francese. A cento metri di distanza c'è la Conciergerie, antico palazzo, che durante la Rivoluzione fu chiamato l'«anticamera della ghigliottina». Tra i tanti personaggi che in essa furono rinchiusi prima dell'esecuzione ci fu lo scienziato Lavoiser famoso per avere inventato una delle leggi fondamentali della chimica, cioè la legge di conservazione della massa tra reagenti e prodotti di una reazione chimica. Questo nome è stato per me da sempre uno dei primi nomi francesi incontrati nello studio della scienza chimica quando andavo alla scuola media. E siccome la lingua straniera che si insegnava nella mia scuola era il francese, potete immaginare quanto io amassi Lavoiser nella doppia veste di francese e di scienziato. Desidero raccontare a questo proposito un piccolo avvenimento accadutomi quando ero studente. Avevo come professore di francese il Direttore della scuola, il quale era un uomo che si auto compiaceva sistematicamente e si lodava in continuazione. Una mattina lo incontrai vicino a scuola e mi avvicinai a lui per chiedergli qualcosa della vita di Lavoiser. Lo salutai dicendogli, in rigoroso francese, "Bonjour Directeur". Come risposta mi diede un sonoro schiaffo sul viso dicendomi: "Monsieur le Directeur". Mi devi chiamare Signor Direttore disse con l'indice della mano che faceva da monito. Rimasi di stucco per la risposta poco signorile e molto maleducata. In compenso approfondii da solo la vita e l'opera di Lavoiser, di cui rimasi sempre un fedele ammiratore per essere stato condannato alla ghigliottina dal suo principale accusatore, un rivoluzionario e chimico dilettante, di cui non ricordo il nome, al quale Lavoisier aveva in precedenza rigettato la domanda di accesso alla Académie des Sciences (Accademia delle Scienze). Con molta ironia ho sempre detto a me stesso che a me andò meglio di Lavoiser. Ma ritorniamo a noi.

Com'è noto ogni fiume ha due sponde: quella sinistra e quella destra. Anche la Seine non fa eccezione a questa regola. I due Lungosenna, qui chiamati "Quais", si trovano sulla "riva gauche e la rive droite". A Notre Dame sono arrivato dalla riva destra e adesso mi dirigo alla riva sinistra. Il Pont Neuf soddisfa egregiamente a questo scopo. Particolarità è che il Point Neuf, che vuol dire Ponte Nuovo, non è vero che è un ponte nuovo. Anzi. E' il più vecchio ponte dell'intero Lungosenna di Paris. Dicevo che il ponte mi permette di immettermi nel Quais des Grand Augustins che poi diventa Quais Montebello (altro nome italiano) e dare uno sguardo indiscreto ai "bouquinistes", ovvero ai venditori ambulanti di libri, ma anche di disegni e altro. Sarà una mia impressione ma la riva sinistra mi sembra più popolare della aristocratica riva destra. Ho sentito parlare molto di questi venditori di libri usati per cui devo soddisfare la mia curiosità di cosa e come vendono queste rarità librarie. Esistono anche a Roma, sul lungotevere e in alcune piazze dove è presente una fermata della metro. Alcuni anni fa vicino al Vaticano, nella Piazza Mazzini, ho trovato uno di questi "bouquinistes" romani che mi ha venduto per tremila lire il bel libro di Ivo Andrić, Na Drini Ćuprija (Il Ponte sulla Drina), che sarebbe una specie di "I Promessi Sposi" nella tradizione storica e culturale dei Balcani. Quindi niente «Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti, tutto a seni e golfi, [...]» ma «Per la maggior parte del suo corso il fiume Drina s'apre la strada attraverso anguste gole tra scoscese montagne [...]». I due incipit coincidono nella loro straordinaria differenza. Un vero e generoso regalo di questi preziosi ambulanti del libro. La passeggiata è un po' lunga e mi ricorda l'analoga visione di questi venditori di libri usati a Londra nella Bayswater Road che anche lì mi hanno ricordato le bancarelle romane che vendono disegni e libri usati o fuori commercio. Tutto sommato è piacevole e interessante guardare qua e là con calma. Non dimentichiamo che mi trovo nel 1° Arrondissement, come dire a Roma vicino al Campidoglio. Qui tutto è intrigante, compreso il traffico delle auto che appare molto meno caotico di quello romano. Le insegne dei supermercati, le scritte dei cartelli stradali, le vetrine dei negozi mi appaiono familiari e nello stesso tempo nuovi e differenti da quelli usualmente presenti in Italia, segno che c'è un filo di continuità nella mia memoria tra l'essere italiano con le mie immagini e i ricordi della lingua di Voltaire e la predisposizione nell'accettare tout court tutto ciò che è francese. Si è vero, lo scorso anno sono andato a Londra che mi ha affascinato non poco, tanto da sentirla mia nella sua caratteristica più intima di vita british. Qui però è tutta un'altra cosa. Qui oltre all'ammirazione per tutto ciò che è francese c'è anche quel tanto di colore e di passione per gli aspetti continentali e, perchè no, mediterranei della specificità francese. Dunque, mi sento veramente a mio agio. La stessa lingua è morfologicamente più vicina all'italiano di quanto non possa essere quella inglese. Un esempio per tutti. Le desinenze maschili e femminili degli aggettivi sono come all'italiana differenti, mentre nella lingua inglese non è così. L'italiano e il francese poi sono due lingue romanze che appartengono allo stesso ceppo linguistico, hanno la stessa etimologia latina nel lessico e la stessa origine comune. Tutto questo per dire che mi trovo veramente a mio agio a Paris più che a London. Intanto ho raggiunto Quai de la Tournelle e francamente mi sono stancato di vedere le stesse bancarelle con i medesimi oggetti esposti. L'obiettivo della mia passeggiata è la Bastille. A Pont de Sully  sulla sinistra imbocco il Boulevard Henri IV per Place de la Bastiglie. La camminata è un po' lunga. La accorcio prendendo un autobus. Alla fine, la vista della Colonne de Jouillet (Colonna di Luglio) mi informa che sono arrivato. La prima cosa che salta all'occhio è, sulla destra all'entrata nella rotonda della Bastiglia, la nuova Opéra Bastille. Teatro lirico e per concerti nuovo di zecca come una moneta coniata da poco. Tutta vetri, rotondeggiante, moderna, ipertecnologica, flessibile alle esigenze di scena ma anonima, si presenta, a mio parere, come un corpo estraneo nella piazza. Tutti ne parlano bene: funzionale, armoniosa, equilibrata nelle forme e nelle proporzioni, originale e tanto altro. Non lo metto in dubbio. Ma è triste pensare che la modernità frequentemente impone il passaggio forzato da una rarità architettonica a una struttura da "palazzetto dello sport". Questo è purtroppo il prezzo da pagare nel cambio di testimone dalla prima Opéra, la Garnier, all'altra Opéra, la Bastille. Succede sempre così. E' il prezzo che dobbiamo pagare tutte le volte che nella nostra vita effettuiamo il passaggio dal vecchio al moderno. Un tradizionalista come me prova dispiacere nel vedere questo cambiamento, sinonimo di fine di un'era. Aal Théâtre de l'Opéra a vedere balletti e ad ascoltare musica lirica. Anche qui Il passaggio del testimone da Piazza del Viminale all'Auditorium della via Flaminia mi produce la stessa sensazione di tristezza e di malinconia. La Bastiglia non c'è più. E' stata fatta fuori più di due secoli fa dai francesi. L'hanno demolita pezzo per pezzo. Adesso al suo posto c'è una piazza, famosa ma che non sostituisce la vera Bastiglia finita di costruire nel 1382 e demolita nel 1789 cioè durante il periodo della rivoluzione francese. La ghigliottina lasciò Place de la Concorde e passò qui in questa piazza. Adesso non si vede nulla di come fu a quel tempo. Lascia però tutta la memoria dei fatti francesi e della nascita della Republique, che qui ha il suo reliquario. Rimane come detto una colonna, quella dei fatti di Luglio, eretta nel 1840 in memoria dei parigini uccisi, con in cima il "Genietto della Libertà". In ogni caso valeva la pena venire qui. Mi è venuta fame e un panino caldo a base di prosciutto e formaggio è quello che ci vuole. Ma siamo in Francia e il panino o il toast non sono piatti autoctoni. L'alternativa sono il croque monsieur e il croque madame, accettabili per uno spuntino veloce. Un bel bicchiere di birra Leffe mi rimette un po' in piedi dopo la lunga camminata per i lungosenna del 1° Arrondissement. L'entrata del metro è a due passi. Qui transitano vetture della linea 8 che mi riportano direttamente in rue Fèlix Faure in albergo.

Terzo giorno Lunedì 20 agosto. Dopo un'abbondante colazione, di buon'ora, prendo il metro, linea 8, e scendo a École Militaire. L'Avenue de la Bourdonnais mi invita ad avvicinarmi alla Tour Eiffel ai bordi del Parc du Champ de Mars. L'atmosfera nella quale mi trovo immerso è quella di una scampagnata.

Gli immensi ed esagerati giardini di Champ de Mars  mi accolgono come se stessi andando allo stadio a vedere la partita. L'atmosfera è quella della gita fuori porta, gioiosa e piena di ansia di arrivare, per trascorrere una bella mattinata. Manca solo il Luna Park e poi saremmo come all'EUR a Roma tra banchetti del tiro a segno e montagne russe. C'è già una discreta coda davanti al botteghino per poter prendere uno dei due ascensori che mi porteranno in cima. Sono un po' emozionato, perchè non capita spesso essere davanti alla Tour Eiffel e far finta di niente non è proprio possibile. In realtà è la prima volta che la vedo davanti a me. Il mito della gita a Paris prevede con certezza la visita alla Torre. Non ci sono dubbi. Vedo gente di tutte le nazionalità, almeno questo è quello che mi appare, tutti impazienti di vedere Paris dalla cima di questa famosa e leggendaria costruzione. Sono un po' preoccupato di salire lassù. L'ascensore potrebbe bloccarsi o peggio cadere e le altezze non consentono ottimismo. In piccolo è come la paura di volare. E se l'aereo cade? Cerco di non pensarci. Non vale la pena rovinare gita e fegato. Pago il biglietto e prendo l'ascensore che mi porterà al primo livello dove c'è la prima piattaforma (altezza 57 m). Arrivo dopo una veloce salita. Osservo attentamente le enormi teste dei bulloni (ce ne sono più di due milioni) che tengono unita la struttura. Devono essere enormi, esagerati, come tutto qui. Salgo al secondo livello (115 m). L'orizzonte si amplia decisamente più del primo livello. La gente è numerosa e si entra e si esce dagli ascensori a blocchi contingentati. C'è gente anziana e bambini. Ci sono donne giovani e anziani. C'è di tutto. Una umanità che sale e scende determinata a "vedere" e provare sensazioni tanto desiderate. Vado al terzo e ultimo livello della Torre (276 m). Da qui la vista è, come spesso si verifica in terra di Francia, "esagerata".

Volendo, ci sono le scale per fare l'ascensione. Quanti scalini saranno? Faccio la stima del loro numero con un rapido calcolo. L'altezza totale è 324 m ma per una stima approssimativa vanno bene anche 300 m. Ogni scalino sarà 20 cm di altezza, cioè 0,20 m. Divido il primo per il secondo e ottengo 1500. Abbastanza per evitarli. Eppure ci sono molte persone che io definisco "kamikaze della salita" che salgono a piedi. Dall'alto della torre la capitale francese si svela, davanti agli occhi dei turisti, in tutto il suo splendore. Si ha la sensazione di essere vicino alle nuvole. Siamo a circa 300 m dal suolo. C'è anche un po' di vento e si ha l'impressione che qui faccia meno caldo di giù. Bello. Veramente bello. La visibilità è buona e il panorama è magnifico. Si vedono benissimo la Basilique du Sacré-Cœur a Montmartre, la Tour Montparnasse, La Défense e il Grande Arche, l'Arc de Triomphe, la Maison de la Radio, l'École Militaire. Insomma, tutti gli edifici che svettano più in alto degli altri sono perfettamente visibili e facilmente individuabili. C'è un via vai di ragazzi che si muovono velocemente ai piani relativi ai due livelli più bassi. Non si ha l'obbligo di scendere subito e, volendo, ci si può soffermare a piacere guardando dai quattro lati il panorama. Nel mentre scendo giù incontro i nuovi arrivati che salgono con eccitazione e alla fine la sensazione che provo è come se fossi stato sulle montagne russe. Stessa impressione di inebriante eccitazione. Dalla base la torre sembra ancora più grande. Conservo il biglietto d'entrata dell'ascensore e cerco di orientarmi. Avere riacquistato la visione terrestre dello sguardo mi fa sentire rimpicciolito nell'osservazione del panorama ma più a mio agio. Ai piedi della Tour c'è il busto di Gustave Eiffel che ricorda l'ingegnere più famoso di Francia che con i 250 milioni di visitatori è uno dei tesori più visitati in assoluto al mondo. Lassù sembrava di essere sospesi nello spazio e tutto aveva dimensioni piccole. La mancanza di un binocolo, in grado di ingrandire la parte osservata, dava la sensazione di guardare qualcosa che non mi appartenesse. Altra cosa è guardare la École Militaire a sud e il Palais de Châtillon dall'altra parte della Seine, da lassù e da quaggiù.

Due modalità di osservare la stessa realtà offrono in verità la visione di due mondi differenti, come l'osservazione della materia dal punto di vista microscopico e macroscopico. Il paragone che mi viene in mente è che da un lato, da lassù, ho osservato la realtà del panorama con uno sguardo più completo e raffinato ma meno dettagliato, mentre da quaggiù vedo cose completamente differenti da prima. E' questa forse la condanna dell'uomo: vedere la stessa realtà in due modi completamente differenti. Certo, l'integrazione fra le due modalità produce più conoscenza e soprattutto più consapevolezza delle cose del mondo. Mi piace ricordare che dagli Champ de Mars nel 1783 il fisico Jacques-Alexandre Charles professore di fisica alla Sorbona, incaricato dall'Accademia delle scienze di riprodurre le esperienze dei fratelli Montgolfier, fece alzare in volo un pallone gonfiato (aerostatico) di idrogeno piuttosto che di aria calda. Il 1873 è un anno famoso nella storia francese perchè fu firmato il Trattato di Versailles in cui ha termine la guerra di indipendenza americana.

A proposito di Charles, autore di una legge dei gas perfetti e di alcuni altri fisici francesi è forse l'ora adatta di andare alla casa della radio, ovvero alla Maison de la Radio, che si trova qui vicino, al 116 di Avenue du Président Kennedy, dall'altra parte della Senna. Per arrivarci scelgo di prendere il bus n. 72 della Ratp in Avenue de New York dopo avere attraversato la Senna sul Pont du Iéna. Sono appena quattro le fermate per arrivare a fianco del gigantesco edificio circolare della Maison de Radio France. E' il più grande edificio di tutta la Francia. Ospita uffici e studi di registrazione dell'emittente francese. Io sono interessato a un altro aspetto presente nella Maison. Mi interessa visitare il museo scientifico di strumenti e dispositivi elettrici (trasmettitori e ricevitori, nonché il telegrafo di Claude Chappe, pioniere delle comunicazioni che ha letteralmente inventato la parola "telegraph") che ha sede nella prestigiosa Maison. Il museo ha dei reperti eccezionali che ripercorrono l'evoluzione delle comunicazioni radiofoniche e televisive. Così con spirito di servizio volto ad acquisire migliori conoscenze e competenze sulla strumentazione elettrica dei secoli scorsi entro nella Maison de la Radio. Alla Reception pago il biglietto e chiedo del responsabile delle relazioni esterne. Poco dopo si presenta una gentile signora, che è una dirigente del servizio museale, che si offre di aiutarmi come Cicerone e a spiegarmi il ruolo del museo nel panorama più generale dei servizi radio e televisivi della radio televisione francese.

La cortesia della Maison de la Radio mi lascia piacevolmente impressionato e seguo la dirigente per le sale del museo. In breve mi dice che il museo ha lo scopo di certificare l'evoluzione delle comunicazioni radiofoniche e televisive in Francia dalla nascita delle scoperte scientifiche, nonché dei diversi tipi di trasmettitori e ricevitori utilizzati nella fase pioneristica del sistema di radiocomunicazione, a cominciare proprio dalla nascita della radio diffusione con il tedesco Hertz e il francese Édouard Branly. Di quest'ultimo, ovviamente, vi sono testimonianze dirette e documenti abbastanza completi (foto, documenti, ricostruzione del suo laboratorio, apparecchiature, pannelli informativi) dei suoi tentativi di produrre radiosegnali che trasmessi dalla finestra del suo studio percorsero una distanza di circa 30m. Una successiva trasmissione e ricezione si verificò, come prevedibile, dalla sommità della Tour Eiffel a opera dello stesso Branly e, successivamente, a distanza di diversi chilometri da Ducruet. C'è un'intera ala della sede dedicata a museo. Vedo molta strumentazione e ricca è anche la parte descrittiva e didascalica con pannelli in francese e inglese abbastanza chiari. C'è anche una sezione dedicata a Claude Chappe per la nascita del telegrafo ottico e meccanico. Lui non fu parigino ma morì a Paris nel 1805. Dopo più di un'ora di percorso, soddisfatta dell'attività di divulgazione, la signora mi saluta e si congeda. Rimango colpito dalle sue qualità relazionali e intellettuali. Bassina e rotondetta nel fisico, bionda nei capelli, vispa nello sguardo, la signora si muove a suo agio e velocemente nei vari reparti visitati, mostrando una eccellente padronanza delle dinamiche museali. Ho avuto delle difficoltà a comprendere il filo di certe sue spiegazioni a causa della mia "non perfetta" conoscenza della lingua francese. Con le sue qualità comunicative e relazionali mi dimostra concretamente come si possa conseguire contemporaneamente il doppio risultato di evidenziare competenza e disponibilità. Non è facile, in analoghi contesti italiani, trovare esemplari di professionisti così ben preparati e dotati di tante qualità. In fondo in fondo io ero un semplice turista anche se insegnante di fisica. Avrebbe potuto impegnarsi di meno ma non l'ha fatto. Chapeau! Esco dalla Maison veramente ben impressionato della visita, e riconosco alla direzione del museo qualità notevoli di professionalità e sensibilità che non sospettavo potessero emergere così facilmente. Difficilmente dimenticherò questa piacevole e interessante esperienza di visita museale. Non mi rimane che prendere di nuovo il bus e spostarmi verso il centro. Sono fortunato perchè qui all'uscita dell'edificio della Maison de Radio France passa il bus n.70 per Hôtel de la Ville. Lo prendo quasi subito e scendo in Rue de Rivoli, a due passi dal Musée du Louvre. In pratica ho attraversato due volte la Seine. Ma ho fame e prima mangerò qualcosa.

In Voie Georges Pompidou scelgo una brasserie. Scopro, dopo essermi seduto, che il ristorante è di proprietà di un signore algerino, per l'esattezza berbero, orgoglioso delle sue origini magrebine. Chiedo un classico piatto della cucina algerina: il "cous cous Kabyle" (Kabyle è il nome di una popolazione berbera dell’Algeria). Vengo accontentato facendo felice il proprietario della brasserie che nel frattempo si premura di spiegarmi la sua origine berbera. L'atmosfera è quella di un ristorantino arabo dove si respira aria familiare, con poche persone sedute ai tavoli vicino al mio. C'è un'ampia vetrata che dà sul voie Georges Pompidou. Oltre il muro che costeggia la strada c'è la Seine che divide la sponda destra dove mi trovo da quella sinistra di Paris. Una fetta di formaggio francese con una insalata verde conclude il pasto. Il costo è contenuto e le pietanze sono abbastanza gustose. Saluto con il classico assalamu alaikum contraccambiato con piacevole sorpresa. Una passeggiata è il minimo che adesso voglio fare per smaltire le abbondanti libagioni del menù berbero. Lungo la strada vedo un supermercato nel quale entro più per soddisfare la mia curiosità di vedere gli scaffali e i prodotti in vendita, e fare un confronto con quelli italiani, che per necessità. Fin da bambino ho sempre saputo che Paris è la capitale mondiale della qualità, che fa tendenza, che nel nostro immaginario e un modello di riferimento. Si va dalla moda all'abbigliamento, dai prodotti di bellezza alla chirurgia estetica, dai prodotti per la casa a quelli culinari, dai vini e lo champagne ai gourmet specializzati, dai gingilli tecnologici alle auto, dallo sport allo spettacolo, etc. Insomma, c'è tanto da vedere che suscitano in me la curiosità per novità significative. La mia curiosità è massima quando penso ai reparti gastronomici e alle loro proposte culinarie. Dopo aver girato e osservato attentamente i prodotti sia per qualità che per prezzi mi convinco che tutto sommato non ci sono differenze significative. Cambiano solo i nomi delle marche dei prodotti più comuni che non altro. L'unica eccezione è il reparto alimentare. Qui una novità c'è ed è, a mio parere, rilevante. Si tratta delle confezioni di cibo preconfezionato che si trovano in alcuni scaffali. Con sorpresa, noto che abbondano negli scaffali proposte di cibi precotti e confezionati pronti all'uso, tramite solo riscaldamento nel forno. Attenzione, non mi riferisco ai surgelati. No. Ci sono molte proposte di confezioni già preparate e pronte non alla cottura ma al riscaldamento. Per esempio, si compra una bella cotoletta di vitello già impanata e pronta per essere fritta in padella o arrostita al forno, disposta nei vari scomparti in sacchetti a vuoto preconfezionati . Naturalmente ci sono molte pietanze tipicamente francesi, ma la logica non cambia. Si compra un cibo disposto in un contenitore di plastica trasparente freddo che a casa si mette direttamente senza scongelare in forno e ... oplà ecco una famosa pietanza francese come se fosse stata prodotta dal migliore chef de France. Non metto in dubbio la praticità e il risparmio di costi ed energie. Un conto è mettersi in cucina a sbucciare la cipolla, farla soffriggere con olio extra vergine d'oliva, aggiungere un po' di brodo prodotto la sera prima, a fuoco lento. In cucina la fiamma alta e la temperatura eccessiva uccide il gusto. Poi soffriggere della carne (per esempio carne macinata ) o delle verdure fresche (per esempio dei piselli) e cuocere lentamente. Intanto bollire l'acqua per la pasta, salarla e alla fine scolare il tutto e condire con il ragù di carne o col delicato condimento alle verdure. C'è differenza? Si. Ed è abissale. Almeno "in my opinion". Sono quasi scandalizzato. Non comprerei mai questi cibi preconfezionati "per tutto l'oro del mondo". Si fa per dire. Per me, una vera pietanza squisita si può realizzare solo e soltanto cucinandola direttamente, dall'inizio alla fine, senza intermediazioni di catene alimentari industriali e commerciali. E poi a me piace cucinare. Il gusto è una felice sintesi non solo di qualità degli ingredienti ma soprattutto di modalità di cottura. Non dimentichiamo che qui siamo a Paris uno dei luoghi più famosi del mondo dove la cucina è considerata, a ragione, arte. Qui il cibo e, dunque, la cucina è prima di tutto cultura, ma è anche antropologia, è arte, è economia, è politica, financo finanza. Basta infatti prendere uno solo degli ingredienti del cibo francese (ma anche di quello italiano), che è il vino, e vedere quanto business gira intorno alla viticoltura, tanto da considerare la cucina sinonimo di "enogastronomia" e viceversa. Avremo modi di ritornare su questo aspetto, molto importante nell'economia del mio viaggio.

Quarto giorno Martedì 21 agosto. Avenue des Champs Élysées e Arc de Triomphe. Il titolo di questo paragrafo del diario è didascalico ma ricco di possibili interpretazioni. Intanto sto parlando di una delle icone turistiche della città che non è possibile ignorare. I "Campi Elisi" nell'immaginario di un turista "affamato" di panorami e di bellezze architettoniche costituiscono un unicum che ha un valore incommensurabile. Pensate che gli Champs Élysées e l'Arc de Triomphe vengono chiamati dai parigini come a "Vole Triomphale" ovvero via trionfale perchè la prospettiva che si vede fra Place de la Concorde (dove c'è l'Obelisco) e Place Charles de Gaulle dove c'è l'Arc du Triomphe è il trionfo della francesità e dei valori nazionali e patriottici dei francesi. Più in generale, il percorso segue l'asse storico che inizia dal Louvre e finisce al Grand Arche de La Defense.

Dunque, stiamo attenti ai simboli, perchè qui è necessario soffermarsi un po' e parlare di questi aspetti. In questa zona della città ci sono centri commerciali, luoghi di divertimento, caffè concerti, ristoranti, boutique di moda e cento altre attrattive per una folla elegante e affamata di socialità e di divertimento. Basta percorrerlo nel tratto finale tra il rondò chiamato Rond Point e l'Arc de Triomphe e si avrà un assaggio di cosa è stato ed è questo bellissimo viale non solo per i francesi ma per tutti i turisti, me compreso. Il quadro accanto di Jean Beraud e dal titolo "Della modista sul-Champs Elysees" rappresenta la sintesi di ciò che rappresentò nell'immaginario della moda e dell'arte questo viale. Ricordo solo si sfuggita che qui ha luogo la sfilata militare del 14 luglio. Un po' come a Roma in via dei Fori Imperiali il 2 Giugno per l'analoga sfilata dei reparti militari in occasione della festa della Repubblica. E' bello copiare i francesi in questo campo. Loro sono stati i nostri maestri, non c'è che dire. Non per niente siamo considerati i loro "cugini". Certo i due viali imbottiti di patriottismo non sono uguali. Ci sono delle diversità anche notevoli. L'Avenue des Champs Élysées è molto più lunga (circa 2 chilometri) e larga dei Fori Imperiali. E' fuori di dubbio che è più maestoso e imponente. Ha molti più alberi di quello romano ma non si respira l'aria dei fasti romani. Il viale romano ha meno grandeur di quello parigino ma si trova immerso, da una parte e dall'altra per un lungo tratto, tra le rovine antiche dei Fori. Questo parallelo mi fa capire che ci possono essere altre analogie fra i due luoghi. In ogni caso, qualunque guida ne parlerà meglio di me. A me invece interessano cose diverse dalla elencazione asettica dei luoghi e dei monumenti da visitare. Io vado alla ricerca di emozioni, si sensazioni, di visioni, di spettacoli panoramici che mi possano spiegare alcuni perchè circa le emozioni provate nei luoghi che visito nei miei viaggi. Ora che ci penso trovo un'altra analogia fra i due percorsi storici delle due capitali. Entrambe le città, accanto al viale centrale, hanno delle strade laterali, meno importanti e parallele al primo. Prendiamo Paris. Avenue Gabriel è il viale, molto alberato sul lato nord, parallelo ad Avenue des Champs Élysées. Prendiamo adesso Roma. Qui c'è Via di Valle delle Camene al Circo Massimo che è una via poco alberata e parallela al viale centrale che si chiama Via delle Terme di Caracalla. Notevole. In più, posso forzare un tantino l'analogia presentando un parallelo questa volta tra le due piazze di Place de la Concorde a Paris e Piazzale Numa Pompilio a Roma. I due elementi della mappa presentano una forte analogia e si riesce a giocare benissimo in questi accostamenti tra le due città. A una condizione: che si comprenda bene che nella capitale francese tutte le dimensioni sono dilatate e ingigantite. Tutto è più grande e più mastodontico. Ritorniamo all'inizio degli Champs Élysées. L'area a verde tra le due vie è un parco, con bellissimi giochi di verde, alcune ovali altre semicircolari. C'è anche all'interno una strada pedonale ondulata che si chiama Allée Marcel Proust. Ci sono molte panchine ai bordi delle aiuole con persone sedute di tutti i tipi. Mi siedo per qualche minuto anch'io. Le osservo con interesse perchè mi viene in mente un film che vidi molti anni fa sul modo insolito e straordinario di un giovane di dichiarare il proprio amore alla sua ragazza. Il luogo dell'appuntamento era gli Champs Élysées, unico luogo che potesse soddisfare il requisito di essere facile da individuare e sicuro, di ritrovarsi. Il film dimostra come nella cinematografia gli Champs Élysées potessero rappresentare contemporaneamente un luogo geografico e la passione dell'amore. Si tratta dell'episodio in cui un giovane militare statunitense dà appuntamento alla donna di cui è innamorato, una crocerossina francese, su una panchina agli Champs Élysées "la prima domenica dopo la fine della seconda guerra mondiale". Disse proprio così. Indimenticabile. Ci sono persone di tutte le età che sedute pensano, leggono, ascoltano musica con la cuffia parlano tra loro. Vedo anche una bella ragazza dal viso alla Brigitte Bardot e dal naso all'insù. Mi ricorda una ragazza quindicenne che trascorse due settimane di vacanza nel paese in cui vivevo, quando ero ragazzo, in Sicilia. Eravamo tutti innamorati di lei e fremevamo di incontrarla per guardarla. Con la minigonna vertiginosa, i capelli biondi, il nasino all'insù e il suo pessimo italiano francesizzato la guardavamo in trance come degli stupidi incapaci di discutere con lei. Così come apparve dal nulla scomparve improvvisamente lasciandoci nel lutto generalizzato. Adesso, dopo circa quarant''anni in Francia, a Paris, osservo un altro esemplare come il precedente e penso inevitabilmente al tempo trascorso in tutti questi anni, dalla mia gioventù alla maturità. Sono consapevole che il tempo trasforma le persone, gli umori e i pensieri ed io non sono più il ragazzo ingenuo e romantico del tempo della gioventù.

Mi rimetto in movimento per vedere il primo tratto degli Champs Élysées. A Place Clemenceau (sulla sinistra si vede Avenue Winston Churchill che porta al Pont Alexandre III) c'è il Grand Palais e a fianco il Palais de la Découvert, cioè il palazzo della scienza. Il primo è un grande padiglione espositivo di vetro, costruito per l'Esposizione Universale del 1900. Il secondo è un vero e proprio museo di astronomia, astrofisica, planetario, chimica, matematica, fisica, geofisica e biologia. Non posso vederli entrambi. Scelgo di vedere il secondo, sebbene il primo sia il luogo in cui uno dei miei scrittori francesi preferiti, Alain Fournier, incontrò la bellissima ed elegante Yvonne de Quiévrecourt alla quale diede il ruolo di donna incantevole in grado di far innamorare i due protagonisti nel suo unico romanzo Il Grande Meaulnes. Ho sempre amato questo romanzo pubblicato dalla Garzanti l'anno in cui mi iscrissi all'Università nel 1965. Anche se i tempi sono contingentati devo assolutamente vedere quest'altro museo scientifico, tra l'altro molto più vicino della Villette. Mi prendo una pausa per l'Arc de Triomphe ed entro. E' evidente che qui a Paris in cinque giorni non posso vedere tutto e devo sacrificare qualcosa. Ma perdere la visita di un museo della scienza mi sembra una rinuncia esagerata. La visita è breve e sorvolo i particolari. Arrivo al Rond Point de Île-de-France, che è la piazza circolare in cui si incrociano ben quattro viali: Avenue Matignon, Avenue Montaigne, Avenue Franklin Delano Rooselvelt e Champs Élysées. In fondo l'Arc de Triomphe lo vedo sempre più avvicinarsi a me e lo distinguo più nettamente di prima. Dal Rond Point in poi gli alberi posti ai lati degli Champs Élysées si diradano e lasciano vedere nettamente tutti i dettagli dei negozi e dei locali eleganti di questa lunghissima vetrina parigina. Avvicinandomi a Place Charles de Gaulle le gambe riacquistano leggerezza e nelle ultime decine di metri vanno per proprio conto, irrefrenabili, imponendomi una corsa podistica alla Abdon Pamich.

Sono arrivato alla meta. Eccomi nel gigantesco rondò con le macchine che corrono velocemente senza soluzione di continuità. Imbocco il sottopassaggio che mi porta in sicurezza sotto l'Arco. Ammutolito, faccio due giri completi per osservarne la bellezza. Cosa dire? E' spettacolare, altissimo e bellissimo. Non sto parlando della pubblicità di un'acqua minerale. Sto parlando del secondo più grande monumento ad arco di tutto il mondo, dopo quello nordcoreano di Pyongyang. Forme armoniose, architettura simmetrica e bellezza artistica si fondono in una struttura che lascia senza parole. Senza ombra di dubbio questo monumento costituisce uno dei luoghi più prestigiosi di Paris. Le sculture che lo orlano sono belle. Sono quattro, due per facciata. In particolare ci sono dal lato sud a sinistra la celebrazione della Pace di Vienna e a destra La Marsigliese. Dall'altro lato La Resistenza a destra e La Pace a sinistra. Mi viene in mente il detto napoletano: "vedi Napoli e poi muori". Penso che abbia lo stesso senso affermare per Paris lo stesso detto "vedi Paris e poi muori". Ernest Hemingway confidò a un amico che «se sei così fortunato da aver vissuto a Paris da giovane, ovunque tu vada poi, Paris rimarrà sempre con te». Per certi aspetti mi ricorda l'analoga dichiarazione d'amore ma questa volta per Londra fatta da Samuel Johnson, il letterato più illustre nella storia inglese. Disse che «dopo aver visto Londra ho conosciuto il massimo della vita che il mondo può mostrare». Probabilmente sono esagerazioni ma perfettamente giustificabili. Quando ci si innamora di una città si prova la stessa sensazione di quando ci si innamora di una donna. Si perdono sia il senso della misura, sia la sobrietà dei giudizi. E poi chi rifiuterebbe di innamorarsi di qualcuno o di qualcosa? Dunque, rispettiamo l'amore, anche quello per le città e concentriamoci sulle cose belle che esse possono darci. Che poi siano veramente belle, meglio. Vuol dire che la ragione è doppia. Ma ritorniamo a noi. Ci può essere anche qui una analogia tra l'Arco parigino e l'Arco romano di Costantino, situato accanto al Colosseo? Io direi di si, con una precisazione che è condizione discriminante per dare senso all'ipotesi. Cioè che è necessario tenere conto degli aspetti geometrici prima che tecnici e artistici. L'arco di Costantino è alto 20 m ed è stato costruito nel 312 a.C., mentre quello parigino è alto 50 m (due volte e mezzo) ed è stato costruito nel 1836 (duemilacentoquarantotto anni dopo). Non è questa la sede per discutere dei tre Archi incluso quello coreano. Dico solo che quello parigino ha una forte somiglianza (e non poteva non essere che così, visti i profondi legami culturali che esistono tra le due nazioni) con quello romano mentre quello coreano è in uno stile completamente differente dagli altri due. In poche parole non c'è omogeneità per alcun confronto. Bene. Ritorniamo a noi. Nel frattempo credo di avere recuperato bene la stanchezza della lunga passeggiata fatta per arrivare qui da Place de la Concorde. Adesso mi accingo a "completare" la visita alle bellezze dell'Asse est-ovest affrontando un quartiere interessante per le sue caratteristiche artistiche e architettoniche. Parlo della Defense. Con il Metro vado adesso nel quartiere moderno della capitale, che per Paris mutatis mutandis è ciò che rappresenta l'EUR per Roma: la modernità. Defense = EUR. E' credibile questa uguaglianza? Non certo se facciamo un'analogia acritica con criteri e unità di misura basati sulle dimensioni. La Defense è dieci volte più grande dell'EUR. E' completa, modernissima, piena di grattacieli con il Grand Arche che calamita l'attenzione di turisti, passanti e dei media di tutti i generi. Insomma, non c'è storia, perchè la Defense è più importante dell'EUR. Ma se l'analogia viene effettuata senza tenere conto delle dimensioni dei quartieri e del "grado di modernità" delle strutture, forse, si riesce a cogliere meglio il parallelismo di entrambi le località. Effettivamente si rimane letteralmente a bocca aperta nell'osservare la gigantesca serie di costruzioni avveniristiche presenti. Alcuni edifici sono ancora in costruzione e quello che io mi propongo in questo breve lasso di tempo che intendo dedicare alla Defense è semplicemente di effettuare una breve passeggiata, anche negli spazi che ci sono all'interno del centro commerciale sulla spianata. Sono sicuro che sono stati dati tonnellate di giudizi tecnici ed estetici sull'intero quartiere. Non è quindi questa la sede per ritornare su questi giudizi. Quello che voglio assolutamente rimarcare è lo stupore di chi è abituato a vivere in una città come Roma in cui l'altezza massima di un palazzo è il settimo piano. L''impressione che ricavo è di una festa della modernità in misura considerevole per la capacità che ha avuto Paris di dotarsi anche di questo modello di architettura. Osservare con il viso all'insù il Grand Arche fa molta impressione. Questo enorme cubo, con due facce su sei aperte colpisce per la sua insolita forma. Che sia originale non ci sono dubbi. Ma non solo. Intanto è faticoso raggiungerlo e passarci dentro. Salire la scalinata e raggiungere la superficie di base non è facile. Alla fine riprendo il metro perchè è l'ora di pranzo e desidero mangiare nella zona della Madeleine. Lo avevo promesso a me stesso in precedenza. Percorro la Rue Royale alla fine della quale svolto a destra in Place de la Madeleine dove c'è il Café Fauchon  che serve di tutto. Nella sala del ristorante mi seggo a un tavolo libero. in realtà tutti i tavoli sono liberi perchè non c'è alcun cliente che sta mangiando. I tavoli sono tutti lindi, con tovaglia e tovaglioli bianchissimi. Un cameriere distratto che passa velocemente vicino alla sedia dove sono seduto mi porta il menù, che guardo con attenzione per scegliere qualche pietanza poco cara e gradevole. In realtà di economico non c'è nulla. Anatra, astice, terrina di foie gras, tonno rosso, e tanti altri piatti hanno prezzi inaccessibili.

Una leggera ansia mi pervade, perchè nonostante l'impegno profuso non riesco a trovare nessuna pietanza a basso prezzo di mio gradimento. Preoccupato di dovere a tutti i costi ordinare qualche piatto poco appetibile e costoso decido di andare via senza aspettare il cameriere. In pochi secondi esco dalla sala ristorante e mi accontento di sedermi in una brasserie, non lontano da Place de la Madeleine, al numero 7 del Boulevard de la Madeleine. Il locale si chiama «Madeleine7» ed è contemporaneamente una sala da thè, Cafè e brasserie. A fianco mostro il biglietto da visita del locale datomi dal cameriere per ricordo. Entro mi seggo a un tavolo e questa volta la scelta è molto più facile. Ordino un croccante panino (mezza baguette) imbottito di fromage francese, una insalata verde e un buon bicchiere di birra Artois. Decisamente molto più pratico ed economico del più famoso e ambizioso Fauchon. Il locale è piacevole e l'atmosfera che si respira è anche qui di tipo quasi familiare. Vedo seduti vicino a me due uomini e una donna. Parlano come se stessero dicendo cose importanti. In verità il francese è una lingua che fa sentire importanti tutti coloro che la parlano. Non capisco la conversazione, ma i tre mi fanno venire in mente il bel romanzo autobiografico dello scrittore francese Henri-Pierre Roché dal nome Jules e Jim. Si tratta di un romanzo che ho letto molti anni fa in gioventù pubblicato da Garzanti in edizione economica. Lo ricordo benissimo perchè costituì per me quando lo lessi una specie di modello di manuale dello scandalo. È la storia di un triangolo amoroso tra due uomini (un francese e un tedesco) e una donna, anch'essa tedesca, che suscitò in me l'idea di un libro scabroso dalla trama non certo per educande. Il motivo del mio ricordo è dovuto al fatto che quando sono uscito dal ristorante Fauchon mi sono messo a correre per scappare via come fecero Jules e Jim in un capitolo del romanzo. La trama mi ha colpito così fortemente da non averla mai più dimenticata. Particolare curioso è poi che l'autore, vissuto a cavallo tra la fine dell'Ottocento fino agli anni '50 del Novecento, scrisse il romanzo ormai settantenne, ambientandolo nel primo decennio dello stesso secolo. Nel frattempo sono rimasto senza banconote francesi in tasca. Avendo problemi di contante decido di andare a cambiare delle lire in franchi in banca. Al numero 47 di Rue La Boétie si trova l'agenzia parigina della mia banca in Italia, cioè Banca Intesa France SA. Percorro il Boulevard Malesherbes e all'intersezione con il Boulevard Haussmann giro a sinistra in Rue La Boétia. Se non fosse per la gradita coincidenza di trovarmi a due passi dalla mia banca mi verrebbe di pensare che Paris è piccola. Il che non è vero, ma è piacevole pensarlo.

Quinto giorno Mercoledì 22 Agosto. Oggi è il penultimo giorno di permanenza nella capitale francese. Domani si ritorna a casa a Roma. Il programma di oggi prevede ancora una tappa importante: Montmartre e la Basilique du Sacré-Cœur. Parlare di Paris senza parlare di Montmartre è come mangiare un cannolo siciliano senza la ricotta. Il paragone potrà sembrare inadeguato o fuori luogo ma, parodiando un celebre proverbio, mi sento di poter dire che "dolci e buoi dei paesi tuoi". «Su tutto si può scherzare ma non sul dessert» disse con acume Marcello Marchesi in un'intervista. Togliete a un valtellinese la «bisciola» e a un siciliano la «cassata» e capirete che cosa significherebbe per Paris toglierle Montmartre. Questo luogo straordinario e meraviglioso non è solo Sacré-Cœur o artisti del disegno e della pittura. E' molto di più. Anzi, è quanto di più diverso e sorprendente si possa immaginare. E' l'aria che respiri sulla "Butte", la collinetta su cui si erge maestosa la basilica bianca e rotondeggiante della cupola. E' la vita da bohèmien e la ricerca dell'ispirazione degli "imbrattatele". E' il suo cielo, sono i suoi colori, i suoi bleu. E' il Moulin Rouge, con le pale del mulino, colorate in rosso mattone. E' un centro originale di attività artistica e letteraria. E' la Place Pigalle di Simenon e dei suoi romanzi gialli. E' il Cimetiére Saint-Vincent, con le sue tombe che conservano gli illustri geni che spaziano dalla narrativa alla musica, dalla pittura alla scienza, dalla letteratura al balletto, dall'arte alla coreografia. Alcuni nomi sono Zola, Berlioz, Heine, Degas, Dumas, Stendhal, Nijinsky, Ampère, Truffaut. Insomma, è un enorme pezzo di cultura europea che ha fatto grande la Francia nel mondo di cui, diciamolo a tutto tondo, non se ne può fare a meno. Ci crederete o no ma per essere qui, adesso, ho atteso una vita per visitare questi cari luoghi delle mie prime conoscenze di cultura francese che mi hanno accompagnato finora nella memoria e nei ricordi. Mi spiegherò meglio tra poco. Nel frattempo cominciamo dall'inizio. Arrivo in metro con la linea 12 alla fermata Lamarck Caulaincourt a nord della basilica. Ritornerò in centro prendendo la stessa linea ma un'altra fermata, più a sud, forse Pigalle. La ragione è che scendendo a Lamarck Caulaincourt, sotto la scalinata, a due passi c'è, sulla strada della basilica, chiamata Rue Saint Vincent, il Cimetiére Saint-Vincent (cimitero di San Vincenzo). Qui sembra proprio che S. Vincenzo l'abbia fatta da padrone nella toponomastica. E siccome io mi chiamo Vincenzo capirete benissimo che mi trovo a mio agio. Anzi, direi che mi sento di casa. So che in questo cimitero ci sono le tombe di tante figure importanti della cultura, alcune delle quali le ho elencate poco prima. Se avessi tempo lo visiterei con piacere. So per certo che qui c'è anche la tomba del fisico francese André-Marie Ampère, una delle figure della scienza a me più care. La sua fama nel mondo della scienza è dovuta, in generale, alla scoperta della relazione tra "elettricità e magnetismo" (elettromagnetismo), con l'invenzione del cosiddetto "teorema della circuitazione" di Ampère che lega l'intensità della corrente elettrica che attraversa un filo metallico al valore del campo magnetico generato. Più in generale afferma che l'«integrale lungo una linea chiusa del campo magnetico nel vuoto è uguale alla somma algebrica delle correnti elettriche concatenate per la costante di permeabilità magnetica del vuoto : C(B) = μo Σ i ». Lui, il nostro Alessandro Volta e il tedesco George Simon Ohm da soli con i loro nomi hanno dato senso metrologico, legislativo ed esplicativo alle due leggi di Ohm sui circuiti elettrici. Di Ampère si potrebbe parlare per ore e non nego che è sempre stato uno dei miei scienziati preferiti. Ma qui dobbiamo parlare di altro. Dimentico pertanto Ampère anche perchè, a metà della Rue Saint Vincent, c'è una seconda rarità. Si tratta di un piccolo appezzamento di terreno, salendo sulla destra nella piccola stradina acciottolata, nel quale è coltivata la vite per fare l'uva e, conoscendo i francesi e il loro amore per la buona tavola, aggiungo subito, il vino. Se non è una trovata pubblicitaria di cui i francesi sono maestri poco ci manca. Fa impressione vedere a due passi della Basilique du Sacré-Cœur in piena Paris un terreno dove si produce uva. Più in generale sembra che il tempo qui si sia fermato nel secolo scorso. Il panorama è quello tipico dei paesini di montagna, con i muri della stradina in pietra. Potremmo vedere lo stesso panorama in un qualunque paesino d'Europa e d'Italia. Ad Assisi, in Umbria, ho visto qualcosa del genere ma anche in Valtellina ci sono tanti paesini che mostrano identiche connotazioni architettoniche e paesaggistiche. L'aspetto più piacevole della questione è che si perde la sensazione di trovarsi in un paese straniero. Dopo quattro giorni di intenso movimento per le strade di Paris il panorama mi sembra familiare. Tutto mi è caro. E' come se fossi vissuto qui da sempre e provo la stessa sensazione che provavo da giovane quando per motivi di studio o di lavoro mi trasferivo in Italia da una città del Sud a una del Nord e viceversa. In pratica, dopo uno o due giorni nella nuova sede tutto mi sembrava familiare come se fossi vissuto là da sempre. Se non fosse per piccoli dettagli (la forma e il colore delle targhe ai muri dei nomi delle vie, il colore dello sfondo delle targhe delle auto vecchie, le indicazioni in lingua francese, ecc..) non ci sarebbero ragioni di dubitare di trovarmi in Italia. Alla fine della stradina sono alle spalle della basilica. La Basilique du Sacré-Cœur è molto bella. Certo è completamente diversa da Notre Dame e non è in stile gotico. Ma è molto bella lo stesso. Con la cupola completamente in marmo bianco con uno stile differente da tutte le altre chiese gotiche, si fa ammirare in tutto il suo splendore. Una rapida visita all'interno mi informa che valeva la pena venire qui per la bellezza degli interni e per il panorama che si gode di Paris. L'interno mostra i bei colori delle vetrate. Bellissima è poi la volta della cupola, con Cristo Redentore su sfondo blu di colore bianco è tutta la serie di arcate che la sorreggono. Volendo si può visitare il Duomo e la cripta. Ma il numero degli scalini da fare a piedi è così elevato che mi trattengo dal provare. Lascio la basilica e mi dirigo nella vivace Place du Tertre, il vero cuore bohémien parigino. Arrivo nello spiazzo, punto di incontro di artisti e pittori, e trovo una tipica piazza da cartolina con tante bancarelle, cavalletti e pittori di dubbio talento che si spacciano per artisti con pennelli in mano a dipingere e disegnare. In genere si tratta di ritrattisti il cui scopo è rifilare ai turisti sprovveduti orrende caricature. Ci sono esposti ritratti in bianco e nero, oli e tele, quadri colorati con colori più o meno caldi, c'è di tutto. Ed è tutto un pot pourrie di arte del disegno e della pittura. Una considerazione che ripeto per la terza volta a margine di questo altro pezzo di visita alla capitale francese riguarda il fatto che a Paris tutto è esagerato. Dalla larghezza dei viali all'altezza degli archi; dalla grandezza dei capolavori presenti nel Louvre all'intensità della violenza della rivoluzione francese; dal grado di laicità della Republique Française all'idea avveniristica e spericolata della costruzione della Tour Eiffel; dall'intensità del coloro blu del cielo montmartrino alla leggenda del capo mozzato di S.Dionigi e così via.

Non esiste al mondo una città così esagerata e allo stesso tempo così ricca di tesori architettonici. I parigini pensano sempre in grande. Me li immagino come tanti "Napoleoni" con manie di grandezza. E devo dire che solitamente ci riescono. Ecco un breve e incompleto elenco di pittori impressionisti, ma anche di scultori parigini doc, famosi. Edgar Degas, Robert Delaunay, Paul Gauguin, Édouard Manet, Claude Monet. Mi sposto adesso dalla scalinata, vicino alla funicolare in Rue Chappe, al numero 5 (vedi targa e foto). E' l'abitazione in cui avrei dovuto abitare trent'anni fa circa, quando sono stato invitato qui dallo stesso artista, mio amico, che mi ha ospitato due settimane ad Amsterdam esattamente venti anni fa a casa sua, a trascorrere una vacanza a Paris. Sono state tante le lettere che gli ho scritto indirizzate tutte a Rue Chappe 5 che non dimenticherò mai il nome di questa via. Anche perché non posso dimenticare le forti sensazioni che provavo quando da adolescente, al termine delle lezioni scolastiche mattutine, frequentavo il pomeriggio il suo studio artistico nel quale lavorava dipingendo al cavalletto.

Andavo a trovarlo in quella che lui chiamava la sua “bottega d’arte”, piena di tubetti di colori e odori impossibili, di pennelli di tutte le dimensioni, di tele arrotolate, di solventi e liquidi variegati che lo rendevano loquace e maestro di pittura e di vita. Parlava di tecniche di pittura, di disegno artistico, di arte colorimetrica, di impressionismo, di quadri, di capolavori artistici e di grandi figure tra i quali gli impressionisti, di cui conosceva tutto. Parlava di tutto e, soprattutto, parlava della vita. Mi diceva che voleva andare in Francia a trovare lo spirito dell’arte post-impressionista per seguire il suo istinto di artista. E mentre i forti odori della trielina si facevano sentire anche da lontano avvertivo l’atmosfera di forte carica di vita e di ambizione che lo caratterizzava. In verità c'è un'altra ragione che riguarda la mia visita fatta Lunedì alla Maison de Radio. Riguarda il fatto che Monsieur Chappe fu uno dei pionieri delle telecomunicazioni e sulla targa non c'è il nome, che è Claude. La Rue Chappe prima si chiamava Rue Telegraph. Vado adesso in Boulevard de Clichy. Al numero 82 c'è un altro mito di Paris che mi aspetta. E' il Moulin Rouge, famoso locale nel quartiere a luci rosse di Pigalle, nel 18° Arrondissement di Paris. Questo locale ormai non brilla più come una volta. Esiste quasi esclusivamente per testimoniare la sua presenza nella più che centenaria esistenza. In pratica, è solo un'icona turistica e basta. Tuttavia, dal punto di vista storico e musicale non si può non ricordare che cos'è stato il Moulin Rouge nell'immaginario degli uomini di tutta Europa. Con il suo repertorio di danze e spettacoli spesso licenziosi, fra i quali il can-can, diede fama e fu palestra di studio a Henry de Toulouse-Lautrec, l'artista del pennello assiduo frequentatore dei quartieri di Pigalle e Montmartre. Chi non ricorda le famose locandine post-impressioniste che pubblicizzavano il locale e le ballerine? Chi può dimenticare i successi degli artisti francesi come Josephine Baker ed Edith Piaf in questo allora affascinante locale? In Italia non esistono casi del genere di locali artistico-musicali in grado di rimanere famosi ininterrottamente per più di un secolo. Pochi minuti davanti alle pale del mulino che non girano più è il risultato di una visita che mi lascia la nostalgia dei tempi che furono e il triste realismo del tempo che trascorre inesorabilmente. Il primo giorno a Paris ho fatto visita alla Villette, il museo scientifico più famoso di Francia. Adesso, come ultimo giorno desidero fare una visitina al Louvre e concludere così in bellezza. Le Musée du Louvre si trova in centro, a due passi da Place de la Concorde e, in pochi minuti, raggiungo la piramide di vetro che è l'entrata principale del museo. So bene che non potrò vedere molto ma solo una minima parte. Non è possibile con i tempi che mi sono dato poter effettuare una visita completa. L'unico problema è quello di seguire con chiarezza e coerenza un breve percorso prestabilito che ho studiato sulla guida della città. Il museo è grande e non vale la pena perdere tempo a raccapezzarsi o vagare a vuoto per corridoi e piani.

Il Louvre è il museo più importante del mondo. Come tale nasconde il fascino della grande memoria collettiva dell’intera storia dell'umanità. Pochi musei al mondo possono vantare l’universalità che caratterizza il museo parigino. Ex residenza reale si trova in centro, lungo l’asse storico per Arc de Triomphe-Defense. L'entrata principale del museo è come ho già detto prima attraverso la piramide di vetro. In prima battuta sembra che questa entrata sia bizzarra o quanto meno una nota stonata in cui le rigorose linee geometriche contrastano con lo stile classico dell'ambiente circostante. Altro particolare interessante è che a due passi dalla Pyramide trasparente c'è un altro Arc de Triomphe, chiamato "du Carrusel", imitazione questa volta più verosimile dell'Arco di Settimio Severo a Roma. In realtà è una caratteristica del Musée du Louvre alternare e miscelare antico e moderno in modo sapiente ed efficace. Non credo sia utile fare il diario delle poche cose viste. Troppo impegnativa sarebbe la descrizione dei tesori sia in termini di nomi e temi sia per l'altissimo numero di reperti messi in mostra. Si dice che al Louvre ci siamo più di 300000 pezzi d'arte. Per fare una stima dei tempi necessari per vedere tutte le opere presenti al suo interno usiamo un po' di matematica. Nell'ipotesi di fermarci 100 secondi appena per ciascuna opera, il risultato calcolato sarebbe un po' più di 347 giorni ininterrotti, ovvero un anno, tutti i giorni 24 ore su 24! Dunque, non ha senso tentare di vedere troppe cose. Meglio è se si decide di vedere poche opere impiegando più del minuto e mezzo a disposizione per avere il tempo di osservare più attentamente ciò che si vuole vedere e dare un minimo di credibilità alla visita. Dico solo che l'atmosfera che ho trovato è una miscela dosata di passeggiata al chiuso in un grande palazzo come un centro commerciale e di attenta osservazione in soggezione davanti ai capolavori esposti. Tele enormi, statue di tutti i tipi, sculture e dipinti a non finire. Il Louvre è il Louvre. Dalla guido ottengo informazioni preziose circa l'ubicazione delle poche opere alle quali sono interessato. Su qualunque guida si possono trovare le informazioni adeguate. Dico solo che il mio primo pensiero è di vedere la "Gioconda" di Leonardo da Vinci. La trovo al primo piano tra dipinti francesi e italiani. La vedo subito nonostante il quadro sia di piccole dimensioni. Il resto è una corsa ad ostacoli per cercare di vedere altro. Fra ascensori e scale si cammina molto anche perchè c'è tanta di quella roba che alla fine non si apprezza nulla come dovuto. Nell'area egizia c'è il codice Hammurabi e in quella greca la venere di Milo. Mi fermo qui perchè fra il desiderio di vedere qualcos'altro e la stanchezza vince la seconda. Mi sposto adesso verso Notre Dame. Questa volta con diverso intento, visto che l'ho già visitata domenica. La trovo immensa, imponente, straordinaria, più grande di prima. Si avvertono i secoli di vita e di storia solo a guardarla. Se poi si immaginano tutti gli avvenimenti di cui è stata testimone si viene presi da un forte senso di ammirazione e ci si sente schiacciati da tonnellate di storia che l'hanno attraversata e vista al centro dell'interesse generale. Tra una vetrata e una volta riesco a immaginare il suo ruolo nei secoli.

Il minimo che posso fare è sedermi su un banco e osservarne con calma forma e icone. Oltre alla bellezza delle vetrate e ai dipinti mi dedico a osservare il via via delle persone che visitano come me la cattedrale. Ci sono molti turisti che vagano da una parte all'altra degli spazi offerti dai vari luoghi. Transetti, navate, cappelle, absidi, deambulatori, pinnacoli con le cosiddette gargouille (in italiano gargolle), cioè doccioni in pietra con figure mostruose come tipici dell'architettura gotica francese, sono tutti osservati speciali da una umanità variegata che sfila con il naso all'insù e macchina fotografica per guardare e ammirare la maestria di chi li ha costruiti. Volendo ci si potrebbe sedere e pregare, ma è impossibile. Troppi sono i momenti di distrazione. E' anche impossibile riuscire a pensare, a ricordare. La concentrazione non fa parte di questo luogo ma solo di chiese secondarie, piccole, poco frequentate. Chissà se tra tutta questa gente c'è qualcuno tra loro che la pensa come me e che sta facendo i miei stessi pensieri. Statisticamente dovrebbe essercene alcuni. Guardo una coppia di turisti giovani ed eleganti e mi domando: come sarà la a loro vita? Saranno felici insieme o no? Tutti pensieri in libertà che mi vengono in mente nelle chiese e nei luoghi della memoria. Forse le visite turistiche hanno anche questo risvolto. E cioè che uscendo dalle vecchie abitudini e preoccupazioni quotidiane di non arrivare in ritardo al lavoro o di compare la tal o la tal altra cosa per se e per la casa non c'è tempo per pensare e riflettere su dove si sta andando o meno. I pensieri passano nella mia mente, nel frattempo imbocco il Boulevard St-Michel.

L'obiettivo è di fare un piccolo giretto nel quartiere latino. Ammiro Place Rostand e arrivo a Place du Pantheon dove c'è il bellissimo edificio, ex chiesa cattolica, diventato successivamente una specie di mausoleo dei resti mortali dei personaggi che hanno segnato la storia francese. L'analogia con il Pantheon di Roma è il minimo che posso fare. Ironia della sorte la chiesa fu fatta costruire da Luigi XV e inaugurata, pensate un po', nell'anno 1789, anno della rivoluzione francese. Con la sepoltura di Victor Hugo è stata soppresso qualunque richiamo alle origini cattoliche e venne destinato a simbolo laico di luogo di memoria. Il Pantheon romano è meno alto, appena 43 m contro gli ottanta metri di quello parigino e ricostruito intorno al 120 d.C. Questo che sto ammirando proprio ora è alto più di ottanta metri. Per me questo edificio è famoso anche per un altro motivo, e cioè perchè qui fu costruito e messo in funzione da Foucault il famoso "pendolo di Foucault". Ho letto il bellissimo libro di S. Deligeorges, Foucault e la prova del pendolo. La storia di un rivoluzionario esperimento scientifico, Milano, Bompiani, 1990 che mi ha appassionato molto. Ci sarebbero tante cose da dire a questo proposito ma non posso trasformare un diario di viaggio nella bella Paris in un noioso saggio di storia ed epistemologia della fisica. Il quartiere latino non è sicuramente fine come gli Champs Élysées ma devo dire che tutte le mie preoccupazioni che avevo su questo Arrondissement si sono mostrate false. Non ho visto criminalità che avesse dovuto delinquere lasciata in libertà. Rimane il fatto che i miei pregiudizi si sono rivelati tali e faccio ammenda per essere stato un credulone. Imparare dai propri errori è una buona cosa.

Sesto giorno Giovedì 23 agosto. Oggi è il giorno della partenza. Ritorno a Roma con un po' di nostalgia per la bella visita alla capitale francese che finisce qui. Purtroppo. La partenza dall'aeroporto Charles de Gaulle (CDC) per Roma Fiumicino (FCO) è prevista con il volo Alitalia AZ 0327 delle ore 18.25 di oggi, 23 agosto 2001. A tutt'oggi ho trascorso cinque giorni interi di intensa visita a Paris. Tutte le giornate mi hanno sempre visto in movimento, da una parte all'altra della città, consapevole di dover sfruttare al massimo il limitato periodo di tempo a mia disposizione che mi ha permesso di vivere in questa città il sogno di una vita. Sono consapevole che non sarà facile ritornarvi. Anche se ho raccontato diversi fatti del mio diario parigino resta ancora molto da dire. Nell'ultima mattinata mi viene in mente che questa è una città che lascia molto nella mia mente e nel mio cuore. Confesso di essere rimasto profondamente colpito dalle bellezze della città, dai suoi palazzi piacevoli da guardare nella loro unica e perfetta architettura, soprattutto nella forma spiovente dei tetti. Belle e romantiche poi mi sono sembrate alcune strade del 1° Arrondissement vicine ai Lungosenna, con i marciapiedi ben tenuti, le strade pulite e la città intera così disponibile e aperta. Un altro ricordo che porterò con me è la facciata del palazzo di fronte alla mia camera in hotel, frequentemente osservata tutte le volte che sono rientrato in camera. Dalla finestra lo sguardo che si apre non è ampio e profondo, nè è possibile vedere alcun monumento famoso come la Tour Eiffel o la Basilique du Sacré-Cœur sulla collina di Montmartre.

Eppure ha un suo fascino discreto. Il cielo è blu come nel quadro che mi ha regalato il mio amico artista, nel quale mi ha dipinto alla fine degli anni '60 come uno scrittore dell'Ottocento, seduto in una cameretta della Paris dai tetti spioventi con il cielo azzurro. La facciata del palazzo di fronte è di colore mattone con delle traversine bianche. C'è un bellissimo albero che raggiunge l'altezza di diversi piani che si staglia sullo sfondo di altri palazzi bianchi. La stessa camera dove ho abitato finora non si può dire che sia una bella camera d'albergo. Il letto a due piazze occupa quasi interamente tutto lo spazio disponibile mentre ai lati si trovano i pochi arredi essenziali. C'è un armadio con specchio, ci sono due comodini ai lati del letto con una spalliera consumata dal tempo, c'è uno sgabello che permette di sostenere la valigia, c'è un bagno piccolo ma pulito. Niente di più. Non credo che questi dettagli mi mancheranno. Tuttavia, questo orizzonte mi appartiene. Così come mi appartiene più di tutto la sensazione di piacevole e incontrollata eccitazione che mi pervade per il solo fatto di trovarmi nella capitale francese. Respirare l'aria della città, osservare la gente che cammina, guardare le insegne dei negozi e la vita che scorre davanti ai miei occhi mi rende felice di soddisfare il grande desiderio di trovarmi a contatto con la realtà parigina, non solo e non più con l'immaginazione della mente, come ho potuto fare fino adesso dovuta alla lettura di pagine di libri su Paris e la France, ma con la realtà dei miei sensi. Ritorno a Roma consapevole più che mai della bontà del mio progetto di "vedere e toccare con mano" la realtà di questo grande sogno che è l'Unione Europea. Arrivederci al prossimo viaggio a Berlino.

(*) Le poche immagini delle opere dei due autori francesi presenti in questa pagina web sono state prese in internet e utilizzate qui senza scopi di lucro, non violando alcun copyright. In ogni caso si rimane a disposizione dei proprietari per una loro eventuale rimozione.

Elenco dei report di viaggio delle capitali europee già pubblicati.

INTRODUZIONE ALLA SEZIONE VIAGGI
AMSTERDAM Nederland
LONDRA Great Britain
PARIGI France
VIENNA Österreich
MADRID España
LISBONA Portugal
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TIRANA Shqipëri
MOSCAРоссийская Федерация
BIBLIOGRAFIA LETTERATURA DI VIAGGIO

Manuali e guide di viaggio adoperate.

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