venerdì 31 dicembre 2010

Ignobile decisione del Capo del governo brasiliano Lula che nega l’estradizione del pluriomicida Battisti.

Lo sgarbo è stato compiuto e gli animi si sono accesi. Peccato che sia andata a finire così ma la testardaggine ha, purtroppo, vinto sulla speranza. Il Presidente del Brasile, il companheiro Luiz Inacio Lula da Silva, è voluto uscire di scena nel peggiore dei modi: favorendo un assassino ed evitandogli la galera. Si conferma ancora una volta l'idea che i peggiori politici che hanno sempre aiutato gli estremisti rossi sono sempre stati i capi di governo della sinistra. I companheiros che si richiamano al socialismo massimalista, ancora una volta si sono fatti gioco delle regole della giustizia per aiutare fino in fondo i perdenti per eccellenza, ovvero i sostenitori di quel comunismo rivoluzionario che voleva cambiare il mondo con la violenza. Il Presidente Lula, a cui molti guardavano come a un nuovo soggetto della politica internazionale, allo scadere del suo mandato ha impedito che si facesse giustizia dell’assassinio di quattro italiani barbaramente uccisi dalle idiozie del brigatismo rosso degli anni di piombo. Cesare Battisti, un esponente di primo piano dell’eversione di sinistra, ha trovato il suo rifugio e la sua salvezza nella modernissima Brasilia. Com’è noto Lula esce di scena per fare posto al suo successore, la sua allieva Dilma Doussef. In questo passaggio di consegne Lula ha avuto la spudoratezza di rifiutare l’estradizione in Italia del pluriomicida Cesare Battisti, regalandogli la salvezza dal carcere che l’Italia ha sempre reclamato in base agli accordi internazionali. Ricorderemo il Brasile più per questa vigliaccheria del suo Presidente che per la bontà d’animo e la simpatia del suo popolo. Da oggi, per l’ipocrita e colpevole leggerezza del suo Presidente, il Brasile non è più ai nostri occhi lo stesso paese che abbiamo sempre guardato con simpatia e propensione all’amicizia. Intendiamoci: nulla a che vedere con boicottaggi o cose simili. Innegabilmente l’aureola di simpatia che ha accompagnato Lula e il suo paese rimarrà in molti italiani un pallido ricordo. La scelta di Lula, lo hanno capito anche i sassi è, e rimane, una scelta strumentale e offensiva nei confronti dell’Italia, che oltraggia non solo la coscienza dei familiari delle vittime, che hanno visto liberare senza una giustificazione plausibile un pluriomicida dal carcere, ma anche la coscienza civile di chi ha sempre creduto nel concetto di giustizia. In realtà la decisione di rifiutare l’estradizione offende anche la democrazia e la Repubblica italiana. Suona poi come una beffa la gravissima motivazione con la quale Lula ha graziato il suo beniamino. Dire che c’è pericolo per la vita di Battisti nel carcere italiano significa invertire i ruoli. La motivazione esibita da Lula per giustificare il no alla consegna del delinquente è ridicola e falsa quanto la lunghezza del naso di Pinocchio. Non lo si vuole restituire all’Italia dice Lula per «preservarne l’incolumità». Dice Mario Cervi a questo proposito che “quasi che le carceri della Penisola, internazionalmente note per avere porte girevoli come quelle dei grandi alberghi, fossero tetri e spietati strumenti d’una legge repressiva”. Parole sacrosante. E poi, nel mentre ci si preoccupa per qualche parolaccia che qualche sregolato potrebbe gridargli all’arrivo in Italia, Lula dimentica le conseguenze dei quattro assassini. Quattro famiglie distrutte da lustri, un giovane costretto per tutta la vita all’immobilità su una sedia a rotelle e tante altre brutte notizie per i parenti delle vittime. Per il companheiro Lula tutto questo non conta? Lula deve sapere che molti italiani considerano il suo gesto un gesto di viltà, perché è da arroganti e sleali aiutare un pericoloso criminale condannato, con sentenza passata in giudicato, all’ergastolo. Infine, la decisione di aiutare l’omicida di quattro vite apre un precedente molto pericoloso. Qualsiasi delinquente saprà di poter contare su una scappatoia se chiede asilo in questo paese. Non è con questi sotterfugi che si diventa grandi figure nel mondo della politica internazionale. Semmai si viene giudicati dei mediocri.

mercoledì 29 dicembre 2010

Unità d’Italia e filmografia della ricorrenza.

Abbiamo visto il film Noi credevamo. Proiettato nella saletta di un solo cinematografo della Capitale, i cui spettatori sembravano degli imprudenti “carbonari” (ricordiamo che questo è l’anno delle celebrazioni del 150° dell’Unità d’Italia), il film inquadra alcuni aspetti della storia dell'Unità e del Risorgimento. Ci sentiamo di definirlo un film forte e audace, nonostante somigli più a uno sceneggiato televisivo che a un film vero e proprio. Tre ore e cinque minuti di proiezione ininterrotta, senza un solo minuto di intervallo, rappresentano più di una pillola di conoscenza dell’evento storico epocale prodotto da un’accozzaglia di popoli che sono riusciti a mettersi insieme sotto forma di Stato moderno per puro miracolo. A favore del film di Mario Martone c’è da dire che il tema trattato è di difficile interpretazione in un paese come il nostro che tende da un lato a considerare inutile o a minimizzare il valore dell’Unità e dall’altro a privilegiare più le trasmissioni televisive come il Grande Fratello che film che trattano temi impegnati sul fronte storico e politico. Persino uno spot pubblicitario della Rai, che inneggiava all’Unità d’Italia mediante l’esplicito invito a considerare la lingua italiana un valore nazionale di unità, è stato boicottato dalla Lega del secessionista Bertoldo, Umberto Bossi. Una vera vergogna nazionale di cittadini che meriterebbero per punizione di vivere sotto il Regno delle due Sicilie. Il film, nonostante alcuni aspetti strani e inconsueti, è onesto e consegue l’obiettivo di rendere comprensibile che l’Unità d’Italia é stata una conquista ottenuta con sacrifici enormi da parte delle popolazioni meridionali. Se poi in sala, in cui sono presenti spettatori quasi tutti con i capelli bianchi, il silenzio e l’attenzione sono assoluti allora la commozione è senz’altro assicurata. Alla fine della proiezione un timido tentativo di applauso delle numerose “teste bianche” non è andato a buon fine per la fretta di uscire dalla sala dovuta ai muscoli rattrappiti e anchilosati dalle tre ore e passa del polpettone cinematografico. Detto questo, il film conferma ai nostri occhi ancora una volta l’idea che ripetiamo da otto anni su questo blog. E cioè, che se l’Italia fosse governata da uomini giusti e politici onesti e se gli italiani avessero la consapevolezza dell’importanza di un collante comune nello stare insieme, dando senso all’ idea unitaria di Nazione, questo paese sarebbe un sogno e la vita dei cittadini muterebbe in modo più che positivo. Invece, sin dall’inizio e in tutto il periodo dei 150 anni di vita nazionale, i politici, la chiesa cattolica, il potere bancario e finanziario, nonché le varie organizzazioni delinquenziali di questo variegato mondo di popoli differenti tra loro hanno sempre considerato le Istituzioni politiche ed economiche terra di conquista privata e jungla personale dove arraffare tutto a qualunque costo. Che peccato vivere in un paese dove il Grande Fratello permette anche ai partecipanti di bestemmiare senza che venga cacciato a calci nel sedere. Che pochezza! In questi 150 anni l’Italia é molto cambiata. Su un punto però è rimasta sempre la medesima: nella capacità che continuano ad avere i politici e i loro portaborse di derubare la collettività. Da questo punto di vista possiamo parodiare il titolo del romanzo autobiografico di Carlo Levi e dire che l’”Etica si è fermata ad Eboli” e il fallimento dello stare in comune tutti insieme è stato completo! Con buona pace dei Mazzini, Garibaldi, Cavour e dei numerosi Papi che sono arrivati persino a riconoscere la pedofilia di molti loro vescovi e sacerdoti senza che “i mercanti fossero scacciati dal tempio”. Che squallore!

lunedì 27 dicembre 2010

L’involuzione linguistica dell’italiano nella società italiana.

La società italiana rischia il declino se non metterà in campo interventi correttivi a livello socio-linguistico. Com’è noto, una società arretra con certezza solo quando viene meno il collante principale, che è la lingua, in grado di permettere il superamento dei vari deficit che si presentano a cicli periodici. Distruggendo il tessuto socio-linguistico, manifestato quotidianamente dall’uso incondizionato e consapevole della lingua madre dei parlanti piuttosto che della miriade disordinata di dialetti, si distrugge la base comune dei cittadini che vivono in quella società. Quando la lingua madre non viene più percepita dai parlanti come segno di unità linguistica o, peggio, quando i valori nazionali vengono sistematicamente additati come usurpatori estranei, allora si creano dei meccanismi laceranti nella convivenza, con conseguente distruzione del tessuto socio-culturale. Purtroppo, la pochezza della politica nazionale e il nanismo dei due maggiori leader di maggioranza e di opposizione, Berlusconi e Bersani, stanno creando le premesse della decadenza della lingua italiana. Sempre di più si notano cittadini sprovvisti di competenze linguistiche adeguate e nella scuola il fenomeno dell’”analfabetismo reale” si evidenzia clamorosamente sempre di più nei vari test eseguiti sui nostri studenti. La mancanza di una corretta politica di sostegno alla lingua italiana e l’assenza di meccanismi di controllo che impegnino tutti i cittadini ad usare correttamente e adeguatamente la lingua madre sta creando spinte centrifughe che producono pericolose condizioni di incomprensione nei processi di comunicazione della società medesima. La società italiana nell’ultimo decennio è in continuo regresso e non solo perché si trova a fronteggiare una crisi economica. Qui vogliamo soffermarci sul regresso linguistico mostrato ormai in modo apprezzabile e indubitabile che è sicuramente più rischioso di quello economico e finanziario. Noi accusiamo esplicitamente i leader dei maggiori partiti italiani di essere troppo distratti nell’idea di federalismo “a tutti i costi” e crediamo che ci sia la malafede di molti, al governo come all’opposizione, che vogliono viceversa realizzare le condizioni di amplificazione e accelerazione di spinte centrifughe di carattere politico a sostegno di una malevola e ipocrita difesa del localismo. Berlusconi e Bersani non hanno compreso il pericolo grave che può produrre una politica che delega altri a mettere in atto lo scontro tra sostenitori ad oltranza del federalismo che difende il localismo e federalismo che sostiene una politica di mutua solidarietà nazionale. In questa prospettiva, lasciare troppa libertà allo sviluppo dei dialetti a scapito della lingua nazionale significa alimentare le tensioni e creare le premesse per impedire di intendersi anche sul piano culturale della comunicazione tra i vari cittadini di tutte le regioni. Non è un caso che la Lega Nord di Bossi ha criticato gli spot della RAI a favore della lingua italiana in occasione del 150° anniversario della creazione dell’Unità d’Italia. Ormai è diventato frequente incontrare amministratori locali che nei loro interventi ufficiali ricorrono al dialetto come provocazione, sia al nord e sia, specularmente, al sud per motivi di bieco interesse locale. Gli stessi dialetti si stanno imbarbarendo, perché nel riproporre ossessivamente il contrasto tra lingua nazionale e idioma regionale vengono amplificati con enfasi le inflessioni dialettali più esasperate che si allontanano di più dai canoni linguistici della lingua nazionale. E nel mentre la Lingua di Dante viene scalzata sempre di più nei vari campi della società il Capo del Governo col suo ineffabile Ministro della Pubblica Istruzione è totalmente assente nella politica di difesa della lingua madre. A quando si dovrà ricorrere agli interpreti tra persone che parlano due dialetti regionali differenti?

mercoledì 22 dicembre 2010

Rosy Mauro: la vera faccia del leghismo di Bossi.

Ieri abbiamo assistito in tv, vergognandoci, al modo di condurre l’Assemblea del Senato durante la fase più delicata delle votazioni relative alla legge di riforma dell'Università. Una cosa mai vista. La Vice Presidente del Senato, la leghista di prima ora Rosy Mauro, nonché donna di fiducia del Senatore Umberto Bossi, ha diretto i lavori nell’unica maniera che un Presidente di Assemblea non deve mai fare. Sguaiata nelle dichiarazioni, arrogante nella conduzione, autoritaria nei modi, indecorosa nel linguaggio, sconveniente nella pronuncia dei risultati degli emendamenti, inopportuna negli atteggiamenti e, soprattutto, dispotica e antidemocratica nelle decisioni, ha dato un esempio in negativo di quale modello di conduzione è in grado di dare all'Italia il movimento politico di Bossi. Avevamo capito che la Lega avesse dei problemi nella scelta dei suoi rappresentanti in Parlamento. Gli avvenimenti di cui si è resa protagonista la prepotente e scorbutica rappresentante della Lega di Bossi in Senato dimostrano che questo partito è inadeguato a rappresentare nelle Istituzioni il potere politico di cui è in possesso. Ancora una volta i cittadini che credono nelle leggi della democrazia e dello stile sono stati presi in giro vedendosi rappresentati da personaggi inadeguati e non all'altezza del compito. Sarebbe opportuno che l'interessata si scusasse e si dimettesse dalla carica. E' l'unica maniera per salvare il salvabile.

giovedì 16 dicembre 2010

Il sacco di Roma: provvedimenti inefficaci e condanne ridicole.

Ci risiamo. Anarchici ed estremisti politici, con la complicità di imbecilli che si definiscono studenti ma che di studenti non hanno nulla hanno messo a ferro e fuoco il centro di Roma, come e forse più del G8 di Genova. Stessa tattica, stessa violenza, stesso copione per creare disordini e realizzare la propria natura trasgressiva di provocatori. Come contorno una magistratura sempre più lontana dai reali interessi dei cittadini onesti, i quali non si vedono tutelati adeguatamente da alcun partito (specie di sinistra), dalle forze dell'ordine e persino dai giudici che usano la mano leggera quando devono giudicare i violenti e quella pesante quando c'è da giudicare i deboli. In pratica viviamo in un paese incivile, che dire violento è il minimo. L'assalto alle forze dell'ordine da parte di teppisti è un fatto gravissimo e criminali sono tutti coloro che non permettono di far cessare questo scandalo continuo. Altro che paese pacifico e liberale.

martedì 14 dicembre 2010

Le polemiche sull’eutanasia.

Eccoli qua in azione. Sono ritornati. Sono in prima linea per dare un segnale della loro intransigenza e del loro estremismo. Sono i campioni dell’Assoluto, delle Certezze, del pensiero Unico, del “si farà come diciamo noi e basta”. Chi sono? Sono i fautori dell’eutanasia si e dell’eutanasia no. Dell’eutanasia mai e dell’eutanasia sempre. Ripetono ad occhi sbarrati il ritornello come se si trattasse di una guerra santa: “l’eutanasia è un diritto; no, l’eutanasia è un omicidio” e viceversa. E insistono: “la vita è nostra e ne facciamo quello che vogliamo” e dall’altro lato: “la vita non è di nostra proprietà ma appartiene a Dio e guai a chi non accetta di essere intubato anche per 50 anni”. Il suicidio del regista Monicelli ha dato il via alla guerra santa e se adesso c’è una tregua è solo per le vicende della mozione di fiducia-sfiducia in Parlamento. A questo proposito noi vogliamo dire una sola cosa. Questo paese è imbrigliato da questa gente e non uscirà mai dal precariato politico e sociale finché non si uscirà dalle guerre di religione e/o dalle derive laiciste. A nostro parere entrambe le soluzioni proposte dai fautori dei due estremismi sono sbagliate, fuori dalla logica e dal buon senso. Nessuno può imporre suicidi mascherati e nessuno può pretendere di decidere per gli altri. Con buona pace dei crociati e dei saraceni di casa nostra che da soli costituiscono il principale male della società italiana: l’ideologia con contorno di intolleranza. Ma le ideologie non erano state messe alla porta?

sabato 11 dicembre 2010

Come risolvere una volta per tutti il “problema Berlusconi”.

Esiste una sola maniera di risolvere il problema Berlusconi nella politica italiana: che il Presidente del Consiglio rimetta in equilibrio l’aspetto finanziario dei suoi averi realizzati, com’è noto, impudicamente con una immorale politica che ha sfruttato le sue cariche politico-istituzionali per fini personali. Qui per “riequilibrio” intendiamo l’obbligo giuridico a ridare al fisco italiano tutto il denaro ricavato iniquamente in sedici anni di politica riconducibile allo sfruttamento personale dei suoi incarichi politici che gli hanno permesso introiti colossali altrimenti impossibili da conseguire ad una persona che sia partita da zero. La proposta che noi facciamo è quella di nominare una Commissione di inchiesta parlamentare con poteri giudiziari che dovrebbe spulciare a fondo i suoi sedici anni di vita politica dopo la prima nomina avuta come Presidente del Consiglio agli inizi degli anni ’90, per individuare e confiscare gli astronomici e iniqui incassi accaparrati come conseguenza delle sue pluricariche politiche. Riportare l’orologio, con un azzeramento completo, alle condizioni iniziali è il minimo che si possa chiedere a chi è rimasto fuori del tempo dell’Etica e della Morale ed è, tra l’altro, l’unica possibilità che gli è rimasta per risolvere il conflitto di interessi planetario che lo costringe ad essere l’unico politico occidentale sulla scena mondiale fuori norma. Ci ascolti finché è in tempo. Solo così il suo problema etico-politico potrà dirsi risolto. Sul piano morale, poi, dovrebbe avere il coraggio di uscire definitivamente dalla politica, per dedicare il resto della sua vita a ripristinare, per quel po’ che è possibile, il vero senso di una vita male evoluta, dedicandosi esclusivamente, con i pochi averi rimasti, a fare del bene ai poveri e a dedicarsi agli emarginati. Lo fece il manzoniano Innominato perchè non lo può fare anche lui? Lo diciamo per il suo bene perché non è normale avere modificato la società italiana mediante processi politici improntati al “ghe pensi mì” che hanno immiserito la vita di milioni di suoi concittadini che vivono al limite della povertà. La società di questi anni da lui malgovernata, ha rubato a se stessa decine di miliardi di euro che sono andati a finire nelle tasche di un uomo solo, in grado di sperperarli secondo scenari di vita non certo francescani. Tutti questi soldi sono stati sottratti ai servizi della Nazione, ai più poveri e agli emarginati, alle politiche del lavoro, dell’istruzione, della sanità, della ricerca scientifica e ultimo, ma non meno, alla sicurezza tanto sbandierata dal centrodestra quanto mai realizzata nella pratica. Quanto poi alle Eccellentissime et Eminentissime gerarchie cattoliche che fanno riferimento al Cardinale Segretario di Stato Tarcisio Bertone ricordiamo che “Gesù entrò nel tempio e scacciò tutti quelli che vi trovò a comprare e a vendere; rovesciò i tavoli dei cambiavalute e le sedie dei venditori di colombe e disse loro: la mia casa sarà chiamata casa di preghiera ma voi ne fate una spelonca di ladri". A buon intenditore poche parole.

sabato 4 dicembre 2010

Sulla stampa berlusconiana una lista di proscrizione.

L’ennesima conferma della inaffidabilità dei giornali berlusconiani e della concezione antidemocratica, meglio neo-fascista, che hanno il premier e i suoi servitori giornalisti ce la dà il Direttore di Libero, quel Maurizio Belpietro che insieme a Feltri del Giornale hanno sviluppato fino alle estreme conseguenze il filone del giornalismo cosiddetto killer, perché improntato allo scopo esplicito di far dimettere gli avversari giornalisti del loro padrone Silvio Berlusconi con dei dossier falsi. Siamo alla delazione bella e buona. Siamo alla proscrizione di stampo fascista. Siamo cioè in presenza di un metodo politico aberrante, adoperato nelle dittature, che consiste nella eliminazione dei numerosi avversari, nemici personali del leader mediante strumenti di discredito giornalistico. Un elenco di nomi e cognomi con tanto di fotografia degli avversari e ... oplà, gli avversari del padre-padrone sono serviti. Che pena! Che schifo!
P.S. Il Senatore Guzzanti dopo aver definito gli attacchi di Belpietro "attacchi penosi dovuti al fatto che sanno solo obbedire al Capo" ha aggiunto: "Mi sa che questa iniziativa di Libero si è rivelata un flop. Mi fa molta pena il mio ex direttore e amico Belpietro, costretto a fare questa piccineria per ordini del capo supremo. Che tristezza".

giovedì 2 dicembre 2010

Perché continua l’assordante silenzio sul caso del terrorista Cesare Battisti?

Che fine ha fatto il terrorista Cesare Battisti scappato in Brasile e agli arresti in attesa della pronuncia definitiva del Tribunale Supremo sulla revoca dello status di rifugiato politico? Come mai nessuno ne parla? Perché la stampa tace? E’ un brutto segnale che può dare come risultato la libertà del responsabile di ben quattro omicidi, che qui vogliamo ricordare per il tributo di sangue innocente versato: Antonio Santoro, Lino Sabbadin, Andrea Campagna e Pierluigi Torregiani, papà di Alberto, che da quel giorno vive paralizzato su una sedia a rotelle. A nostro avviso c'è il rischio che il nuovo Capo del governo brasiliano, Dilma Vana Rousseff, riesca a trovare qualche cavillo per non dare il nulla osta alla riconsegna alla magistratura italiana del terrorista pluri-assassino. Speriamo che non sia così perché l’unico posto dove questi assassini devono vivere i resti della loro misera vita è il carcere.

lunedì 29 novembre 2010

La “tempesta wikileaks” in un bicchier d’acqua: finora una presa in giro.

La famosa e tanto strombazzata tempesta diplomatica che avrebbe dovuto rivoluzionare il modo di fare diplomazia nel mondo si sta trasformando in una pulcinellata. In pratica, finora, non è uscita fuori una sola notizia adeguata allo strombazzamento dei media mondiali. Non parliamo poi della tempesta in un bicchierino d’acqua che riguarda il Presidente del Consiglio italiano Silvio Berlusconi. E’ uno dei rari casi in cui siamo d’accordo con il Sultano di Arcore a proposito del suo giudizio tagliente sulle note trasmesse a Washington da un semplice “funzionario” dell’ambasciata statunitense a Roma, quando dice che si sta trattando di una presa in giro. Nessuna novità che non si sapeva. Cambia qualche aggettivo qualificativo ma la sostanza rimane immutata. A meno di notizie finora tenute nascoste si tratta di un caso mediatico di presa in giro planetaria. Noi non cadiamo nel trucchetto di far perdere di vista il vero problema. Qualcuno potrebbe affermare che questo colossale strombazzamento è stato messo in rete ad arte per difendere gli interessati. Noi non facciamo dietrologia: semplicemente ci atteniamo ai fatti. E i fatti dicono che in Italia c’è una “cricca di affaristi” al governo che stanno spogliando il sistema nazione per incrementare la ricchezza degli amici di Berlusconi. Il tutto condito da un assordante silenzio della Chiesa Cattolica. Sempre di più si scoprono reati e magagne commesse dalla cricca berlusconiana. Il vero scandalo è questo. E cioè che la cricca di affaristi berlusconiani non solo sta diventando ogni giorno di più inaffidabile e concentrata sui loschi negozi che permettono agli amici di lucrare gigantesche quantità di guadagni indegni, ma che sta affamando il paese perché toglie risorse alle famiglie in difficoltà e dà posti di lavoro ai soli amici della cricca. Su questa questione si dovrebbe intrappolare il Sultano di Arcore. Che poi i suoi festini siano “wild”, cioè selvaggi, come dice la nota segreta dell’ambasciata americana a Roma, piuttosto che ”educati” non cambia nulla: si tratta sempre di godurie sessuali inammissibili a un uomo politico che ha i privilegio di governare l’Italia con i voti di scambio della Chiesa cattolica. La vera questione è che quest’uomo non può governare il paese perché è un irresponsabile e godereccio individuo, che va contro i principi morali, etici e religiosi del cattolicesimo. Lo si cambi con un altro uomo del centrodestra, che non sia incosciente e imprudente come lui. Poi la Chiesa cattolica può ancora dare le direttive di votare il centrodestra, purché vada al potere un uomo probo, corretto, eticamente inattaccabile, che non instilli odio ogni volta che apre bocca davanti alle telecamere e che non abbia alcun conflitto di interesse. Il resto è noia.

sabato 27 novembre 2010

I porno-furbacchioni supporter di Berlusconi.

Eccoli qua i nuovi “furbetti del quartierino”. Il loro capo non è quel Ricucci Stefano che in gergo romanesco ha inventato questa espressione idiomatica per motivi poco leciti di scalata ad alcune banche nazionali. No, i nuovi furbacchioni sono dei parlamentari trasformisti berlusconiani che sono migrati, pensate, dall’Idv di Di Pietro al Pdl di Berlusconi. Come dire un salto da acrobati cinesi, ovvero da "irreprensibili condottieri di etica e di morale" sono diventati improvvisamente e per grazia divina sostenitori del Pinocchio nazionale Sultano di Arcore. L’organizzatore del trappolone per i gonzi cattolici è il parlamentare più grasso dell’intero Parlamento, che è stato definito da Gian Antonio Stella sulle pagine dell’inserto Sette del CdS del 28/10/2010 “il voltagabbana più veloce del pianeta eletto nel 2006 dai più accaniti antiberlusconiani dipietristi e subito traslocato, in cambio di una poltrona, tra i più accaniti berlusconiani”. Che ha fatto di più? In sintonia con le gesta di Berlusconi che ci ricordano la nipote di Mubarak, dopo avere inventato una fondazione, chiamata “Italiani nel mondo”, il gruppetto, comandato da Sergio De Gregori insieme a Esteban Caselli, Basilio Giordano, Nicola Paolo Di Girolamo, Amato Berardi & C., si è inventato un canale televisivo satellitare , l’888 di Sky, che ha messo in onda trasmissioni hard pornografiche. Una sola domanda agli elettori cattolici di Berlusconi: è una loro scelta consapevole quella di sostenere parlamentari di questa specie, dai principi morali non certo francescani? Ricordiamo che i senatori Caselli e Giordano hanno dichiarato che si inchinano all’identità cattolica e che la loro candidatura è la conseguenza di un sogno in cui Papa Giovanni Paolo II li ha invitati a candidarsi alle elezioni. Più ingenui di così … si muore.

giovedì 25 novembre 2010

Ai falchi dei giornali berlusconiani Napolitano piace solo se tace.

La vera emergenza spazzatura sono i giornali berlusconiani che attaccano persino il Presidente della Repubblica. La vera spazzatura non si trova nelle strade di Napoli e dintorni. Quella che c’è nella città partenopea è una spazzatura fisica, eliminabile, che produce cattivi odori che oggi ci sono ma che domani potrebbero non esserci più. Napoli ha la spazzatura nelle strade perché è una città che non possiede il minimo senso dell’organizzazione e del "fare sistema". In più c’è la pessima mentalità dell’individualismo e del menefreghismo tipicamente meridionale. Detto questo c’è da prendere atto che la questione spazzatura va molto al di là di una semplice disorganizzazione. Gli aspetti negativi e deleteri ci sono, è vero, ma siamo dell’opinione che è colpa degli uomini politici che governano quella e molte altre regioni del sud, perché con un sistema politico diverso dall’attuale e con gli uomini giusti nei posti chiave della politica campana l’emergenza rifiuti non ci sarebbe più. Ma la vera immondizia di cui vogliamo parlare in questo post, non è materiale. La vera immondizia è quella che tocca le coscienze e la morale dei cittadini. E questa attualmente non si trova a Napoli e nemmeno nei dintorni. Si trova nelle stanze vellutate dei palazzi del Presidente del Consiglio e ancor di più nelle sedi dei due giornali scandalistici che in un modo o nell’altro fanno capo alla famiglia Berlusconi: Il Giornale e Libero. E là che risiede il vero lerciume immorale di un giornalismo che aiuta il pessimo modo di fare del Capo (il ghe pensi mì) per permettergli una politica del malaffare, dei propri interessi e delle menzogne. Adesso, per continuare a stare al passo con la sozzura del loro giornalismo e continuare a "fare colpo" sull’opinione pubblica, i due giornali che producono un fetore insopportabile, mille volte più sgradevole dei rifiuti campani, se la prendono in accoppiata (questi si che sanno fare sistema!) con il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, reo di essere rimasto dopo quattro anni di Presidenza equidistante da tutti e al di sopra di tutti. Questi giornali dell'Emiro sono riusciti a instillare odio e divisioni nel paese come non mai. Alimentano ogni giorno la disgregazione del sistema Italia riprendendo i vecchi temi del peggior leghismo lombardo, essendo essi stessi - nel più profondo del loro modo di sentire - più leghisti che berlusconiani. Si ritrovano ancora una volta nell’immondo letamaio della immoralità, fatta di menzogne sistematiche e di imbrogli organizzati come l’affaire Boffo, di arroganza e di furberie. Noi non sappiamo quando ci saranno le prossime elezioni. Siamo tuttavia dell’opinione che per aiutare questo paese, dove ormai con Berlusconi al potere, impera una cricca di affaristi finanziari e mediatici che si sono spartiti risorse, posti di lavoro e futuro delle nuove generazioni, è necessario far perdere le elezioni ai due compari di briscola: il rozzo Bertoldo leghista e il velenoso Enrico VIII di Arcore. Non vogliamo che i nostri figli assistano immobili alla distruzione dell’Italia così come l’abbiamo conosciuta nei tempi pre-berlusconiani che non era l’ideale ma almeno non era affaristica e immorale come l’attuale. E ricordiamo agli Eccellentissimi et Eminentissimi Cardinali di Santa Romana Chiesa cattolica che l’inferno è pronto ad accogliere tutti quei cattolici che daranno il voto all’anticattolico per eccellenza Capo del governo italiano.

sabato 13 novembre 2010

P.G.Battista e l’ipocrisia dei giornalisti italiani.

Vogliamo denunciare oggi “dalle colonne” del nostro blog lo scandalo di un modo di fare giornalismo in Italia. Si tratta della posizione assunta nel sito del Corriere della Sera dal giornalista P.G. Battista che, dopo la sentenza dell’Ordine dei giornalisti che ha condannato l’ex Direttore de Il Giornale Feltri, alla sospensione dalla funzione per tre mesi, trova il coraggio di difendere Feltri in modo così maldestro da apparire tanto sfrontato quanto indecente. Il dott. Battista ha una strana concezione della libertà di stampa e delle regole che esistono in un paese civile. Se queste norme sembrano inique allora dovrebbero essere cambiate. In mancanza di modifiche esse fanno parte delle Regole (con la R maiuscola). Il dott. Battista, viceversa, critica tutta la stampa di sinistra perché all’indomani della sanzione irrogata a Feltri dall’Ordine quasi nessuno ha preso le difese dello stesso Feltri. Dunque, se abbiamo capito bene per il dott. P.G. Battista l’Ordine dei Giornalisti non doveva prendere la decisione di sanzionare Feltri nonostante quest’ultimo abbia svolto una delle campagne giornalistiche più odiose e infami della storia d’Italia contro un uomo, l’ex Direttore dell’ Avvenire Dino Boffo, colpevole solo di avere scritto la verità contro l’immoralità dilagante del premier Berlusconi. Per il dott. Battista dunque le regole non hanno alcun valore. Che ci sia una norma che afferma che in caso di manifesta denigrazione di un giornalista da parte di un suo Collega l’Ordine può sospendere colui che denigra, al dott. Battista non interessa. Lui avrebbe voluto che Feltri potesse ancora continuare a denigrare Boffo, Fini e tanti altri senza rischiare nulla per far piacere al Capo. Che indecenza! E soprattutto che bel modo di ragionare. Avevamo intuito da tempo che questo Signore fosse un piccolo trombettiere pieno d’aria che nasconde il suo essere filo berlusconiano dietro una coperta trasparente di ipocrisia. Lui si che è un vero ipocrita, perché dietro il paravento della libertà di stampa nasconde il suo essere di parte fazioso a difesa del carnefice e non della vittima. Il tutto per mera piaggeria filoberlusconiana. Francamente un tipo del genere che scrive queste cose penose non vale niente. Dispiace che il CdS dei grandi giornalisti Montanelli e Spadolini mantiene un tipo del genere. Personalmente avremmo avuto piacere che l’ordine avesse confermato la punizione a Feltri per sei mesi. Un maestro di killeraggio come Feltri fa vergognare l’intera categoria del giornalismo italiano, nel quale ci sono bravi e cattivi maestri. Feltri è uno dei più cattivi. Battista non è né tra i bravi, nè tra i cattivi. Semplicemente non si nota.

venerdì 12 novembre 2010

La strana idea di verità di Berlusconi e dei suoi ministri.

Il Ministro degli Interni Maroni, esponente di punta della Lega Nord, è nei guai. Le sue dichiarazioni al Parlamento per il caso della minorenne marocchina salvata da Berlusconi con le sue telefonate alla Questura di Milano stanno confermando la strana idea di verità che mostrano di avere tutti coloro che frequentano e sostengono Silvio Berlusconi. Sul Presidente del Consiglio tutti gli italiani ormai si sono fatti l’idea che è un vero Pinocchio. Prima fa dichiarazioni e poi le smentisce. Inizialmente afferma che un oggetto è bianco e immediatamente dopo afferma il contrario e che la stampa lo aveva travisato. Dichiara che i media inventano le notizie perché gli sono contrari in politica. Quello che lascia perplessi è tuttavia il fatto che anche il Ministro Maroni, di solito un uomo di poche parole che si è sempre distinto per aver sempre fatto affermazioni sobrie e discrete, adesso è stato contagiato dallo stile comunicativo del capo del Governo, il Pinocchio per eccellenza, a dire frottole. Insomma Maroni è accusato dal Giudice Fiorillo di avere mentito in Parlamento. Se si esaminano attentamente i fatti di quella sera spuntano fuori tante bugie trasformate in verità dal ministro leghista. La prima panzana riguarda la minorenne marocchina spacciata per la nipote del Presidente dell’Egitto Ḥosnī Mubārak. La seconda invenzione riguarda la forzatura delle regole ritoccate dalla Questura milanese per obbedire al desiderio di Berlusconi di tirare fuori dai pasticci la sua protetta minorenne. La terza falsità riguarda la dichiarazione che quella notte non c’erano posti letto negli istituti milanesi per minorenni. La quarta fandonia riguarda il fatto che la Questura non ha ottenuto il via libera dal giudice titolare della pratica e nonostante tutto ha affidato lo stesso la minorenne a una ex-igienista dentale del Pdl che l’ha mollata qualche ora dopo nella notte nelle mani di una brasiliana dalla vita notturna non proprio monastica. Insomma, molte bugie e poche verità sotto il cielo di Milano. In verità il fatto grave è che Berlusconi considera norme e regole come orpelli che non hanno motivo di esistere perché lui è il Gran Capo, l’unico a non averne di bisogno. Così facendo si trasforma in un pericoloso modello antieducativo mentre, al contrario, avrebbe dovuto dare l’esempio ed essere un campione sicuro di correttezza. Roba da fine impero. Il “ghe pensi mì” di Berlusconi conferma l’inaffidabilità della persona e il pericolo che corre la democrazia italiana, unica anomalia d’Europa, di continuare ad avere un simile individuo nel posto di massima responsabilità che è la guida del governo. Che Dio ce ne scampi e liberi. Res satis est nota, plus foetent stercorac mota.

lunedì 8 novembre 2010

Berlusconi paracarro politico?

Gianfranco Fini ha definito la politica di Berlusconi come quella di un paracarro nella strada. In un lungo discorso davanti all’Assemblea del suo nuovo partito, il Fli, ha chiesto esplicitamente le dimissioni di Berlusconi da Primo Ministro. Ciò che sembrava impossibile appena un anno fa si è verificato oggi. Non vorremmo essere nei panni del duo Feltri-Belpietro, i “Direttorissimi” dei due giornali filo berlusconiani Il Giornale e Libero, che hanno messo nei pasticci il Premier. Ma chi gliel’ha fatto fare a Berlusconi a mettersi nelle mani dei due panzer del giornalismo d’attacco, maestri di killeraggio? Con i loro dossier e con le loro inchieste personali contro il Presidente della Camera hanno rovinato il loro padrone. Adesso Berlusconi è come il giocatore di pocker che ha già rilanciato sul piatto una grossa somma e trova qualcuno che rilancia a sua volta. Adesso o vede o passa. Non ha più la possibilità di rilanciare. In entrambi i casi la decisione è delicata e pericolosa perché non può permettersi di sbagliare. Certo non deve avergli fatto piacere sentirsi accusare di essere il capo di un partito vecchio, immobile e arretrato, come un paracarro, fisso, sempre là, immutabile e granitico che non cambia mai, vizietti compresi. E poi quei continui riferimenti alla sua immoralità e alla sua politica fatta di mancanza di regole, di subalternità alla Lega e di leggi ad personam devono averlo ferito profondamente. Un vecchio proverbio dice che “chi è causa del suo mal pianga se stesso”. E adesso? Provi almeno a uscirne dignitosamente. Ma lui attaccherà ancora di più, a testa bassa. Lo conosciamo, ed è pericoloso perché potrebbe trascinare il paese vero il basso ancora di più di quanto non lo abbia fatto fino adesso. Viviamo tempi bui. La colpa di tutto ciò? Semplicemente una: il voto che gli italiani, in massa, gli hanno regalato alle ultime elezioni con l'appoggio consapevole della Chiesa cattolica. Ce lo meritiamo.

giovedì 4 novembre 2010

Il Cacciatore e il Cacciato.

Sta finendo in burla. Diciamo che era prevedibile. In piena commedia all’italiana si sta verificando una di quelle rappresentazioni sceniche comiche che neanche Ridolini avrebbe fatto di meglio. Dunque, la Procura di Milano fa degli accertamenti sul caso della giovane marocchina liberata dal Principe Azzurro Silvio Berlusconi mediante una telefonata e afferma che il Presidente del Consiglio non può essere incolpato di nulla. In pratica, la faccenda è chiusa. L’avvocato Ghedini afferma che lui l’ha sempre detto che erano invenzioni mediatiche dei giornali di sinistra. Dunque, sessanta milioni di italiani sono stati presi in giro da una schiera di furbacchioni con una commedia all’italiana in cui si fa apparire Berlusconi una vittima dei media di sinistra. Ma stiamo scherzando? Non si è mai visto un Presidente del Consiglio telefonare a una Questura di notte per togliere dalla brace una sua amichetta minorenne dai facili costumi. E non c’è dolo è stato detto. Sarà, ma non si è mai visto nulla di simile. Addirittura leggiamo sui giornali che Berlusconi ha dichiarato che il Presidente della Camera Gianfranco Fini non è mai stato cacciato dal Pdl: "al massimo si è autoescluso" ha commentato con candore come sa fare solo lui. Ci domandiamo: e la polemica tra i due cofondatori del Pdl, vista in diretta da milioni di italiani nell’ultima Direzione del Pdl, in cui Fini alzandosi in piedi davanti a Berlusconi che lo incalzava disse "e allora che fai, mi cacci"? Pochi giorni dopo, in verità, Berlusconi lo cacciò via. E adesso vogliamo fare finta di nulla? “Ma mi facci il piacere” diceva in casi simili Totò, con un po’ di ironia. In Europa e nel mondo, con questo Berlusconi, oltre che la serietà abbiamo perduto anche la faccia. Ma quello che ci colpisce di più in tutto questo ciarpame è il rumoroso e assordante silenzio della Chiesa Cattolica che su questo evento di sporcizia morale non ha nulla da dire. Che tempi!

lunedì 1 novembre 2010

Berlusconi come il piccolo Cesare.

“Venderò cara la pelle” dichiara Silvio Berlusconi a chi gli chiede le dimissioni da Presidente del Consiglio dei Ministri come conseguenza dell’abuso manifestato durante la telefonata fatta alla Questura milanese per liberare la partner minorenne tunisina. La sua è una dichiarazione non pacifica e per nulla favorevole a un armistizio. Il linguaggio e il tono mostrano la vera natura del Premier, per nulla disponibile a cambiare registro, mettere da parte le sue debolezze e lavorare per il bene del Paese. La stampa ha ormai certificato ampiamente i festini licenziosi organizzati nelle sue residenze private, in cui le invitate non si possono definire certamente delle “dame di compagnia”. Per tutta risposta il Capo del governo digrigna i denti e dice che “venderà cara la pelle”. Siamo dunque alla guerra: guerra di trincea, di logoramento, in cui ogni giorno se ne vedranno delle belle. Siamo dell’avviso che il Premier farà di tutto per resistere. Altro che Saverio Borrelli, Procuratore Capo di Milano, che dichiarò di volere resistere, per tre volte. Qui i numeri hanno altri ordini di grandezza e se proprio vogliamo prevedere un numero, diremo che Berlusconi si prepara a resistere almeno cento volte. Berlusconi ci ricorda il film “Little Caesar”, un film americano che racconta la storia violenta di un piccolo gangster italo-americano Enrico 'Rico' Bandello, interpretato dal bravo attore Edward G. Robinson, vissuto negli anni ’30 a Chicago. Nella scena finale si vedono decine di poliziotti che circondano l’albergo dove è stato scoperto il gangster. La scena è famosa. E’ quella finale quando il Capo della polizia con un megafono lo informa che è circondato e non ha scampo. Per tutta risposta il piccolo Cesare, alias Edward G. Robinson, grida dalla finestra la celebre frase: “venderò cara la pelle” e inizia a sparare contro la polizia che alla fine lo uccide con una scarica di pallottole. A proposito del protagonista, il critico cinematografico Stuart Kaminski racconta “l'ascesa inarrestabile e la caduta repentina; l'ambientazione metropolitana e l'allusione nel titolo alla romanità e ai suoi costumi decadenti, perfino la "taglia" ridotta del protagonista e il titolo del film che coincide col suo nome (Cesare Enrico Bandello): in Piccolo Cesare ci si imbatte con evidenza nella "prima chiara descrizione di quegli elementi che hanno caratterizzato il genere gangsteristico per più di quaranta anni". Il paragone ci sembra appropriato. Il finale un po’ meno, perché la polizia nel film è contro il gangster mentre qui è a favore del più forte. Anche questo è conflitto di interesse che non avremmo mai voluto constatare.

domenica 31 ottobre 2010

Il trasformismo della Lega di Bossi.

Che il partito leghista di Bossi fosse inaffidabile e scorretto lo si è capito da tempo, da molto tempo, da quando Bossi ha prima avversato Berlusconi, etichettandolo con l’epiteto Berluscaz mafioso, e poi dimenticando le accuse si è alleato con lui, naturalmente per puro calcolo di potere. Ripetiamo che si è alleato con Berlusconi per esclusivi motivi di interesse e di convenienza, e non per ideali politici. Non c’entrano nulla le ragioni legate alla difesa del territorio dei cosiddetti “popoli padani” del nord. Il suo è stato un mero calcolo di opportunismo. In tutti questi anni Bossi ha agito in modo inaccettabile contro i simboli della Repubblica italiana e contro le Istituzioni. Vogliamo richiamare alla mente il ricordo di quale giudizio diede Bossi dei Prefetti. Furono chiamati servi del centralismo romano, uomini inviati da Roma e come tali da considerare insopportabili. Dunque, l’idea di Bossi della figura del potere centrale dovuta alla presenza dei Prefetti in tutte le provincie fu, finché la Lega rimase all’opposizione, di totale chiusura, di disapprovazione e di intransigenza nei confronti di questa figura istituzionale. Come mai adesso non ne parla più male? C’è un nesso a nostro parere tra il recentissimo esempio di abuso commesso da Silvio Berlusconi e la figura del Prefetto, che noi vogliamo mettere in luce per chiarire la logica opportunistica alla Bertoldo dei leghisti. Com’è noto, Silvio Berlusconi l’altra notte, a detta di alcuni quotidiani, ha esercitato un abuso di potere, quando ha fatto la telefonata alla Questura milanese per imporre che la sua amichetta tunisina Ruby, minorenne senza documenti per giunta scappata di casa e accusata di furto, fosse rilasciata e consegnata a una sua amica che dopo poche ore la scaricò a un’altra donna poco raccomandabile. Cosa fece il Prefetto in questa circostanza? Avrebbe dovuto informare subito il Governo dell’accaduto per impedire che il protocollo previsto nei casi di minore non fosse modificato arbitrariamente come invece avvenne. Ma il Capo del Governo è lo stesso Berlusconi. Come vogliamo chiamare questo fatto? Noi lo chiamiamo conflitto di interesse che viene sistematicamente agevolato sia dai Prefetti, sia dal partito di Bossi. Il quadro è completo. Quel Prefetto che Bossi ha sempre chiamato uomo del centralismo romano in questa occasione non risulta essere stato criticato dalla Lega. Perché? La risposta è semplice e riguarda il fatto che Bossi è adesso al potere, i Prefetti li nomina il suo partito e lui è disposto a digerire tutto quello che Berlusconi con la sua vita amorale propone pur di conservare il potere. Come vogliamo etichettare questo stato di cose? Un magma di conflitti di interessi immorali che abbraccia tutto il governo, dal Pdl alla Lega. Un vero esempio di tornacontismo.

sabato 30 ottobre 2010

Berlusconi: come ti incremento il conflitto di interessi.

La vicenda della casa di Montecarlo e le polemiche anti-Fini alimentate dai giornali di famiglia hanno aiutato molto Silvio Berlusconi a distogliere in questi giorni l’attenzione dal suo gigantesco e colossale conflitto di interessi. Vogliamo spiegare in questo post perché il Presidente del Consiglio, padrone multimiliardario di una delle aziende televisive private più grandi del mondo ha, a nostro avviso, delle responsabilità tremende relative al depauperamento delle risorse e della ricchezza della Nazione a suo favore. Un solo esempio tra i possibili. Il Direttore Generale della RAI Mauro Masi, nominato a quel posto in chiave governativa, ha deciso di sospendere il conduttore Santoro per due settimane impedendo alla trasmissione Anno Zero di andare in onda. Risultato? Col provvedimento preso dal filo berlusconiano Masi la RAI non potrà incassare per due puntate le rilevanti somme della pubblicità. A chi giova questo risultato? La risposta è che giova moltissimo a un solo soggetto, e cioè al proprietario della televisione privata concorrente della RAI. Come si chiama questo “teatrino della punizione” comminata al conduttore Santoro? Risposta : incremento del conflitto di interessi. Come appare chiaro, in questa storiella c’è solo un individuo che ci guadagna, e molto: è il padrone di Mediaset e dei vari canali televisivi quattro-cinque-sei. E’ ovvio che le ricche aziende inserzioniste non potendo sfruttare il traino della rete pubblica dirotteranno le risorse finanziarie verso la televisione privata, concorrente della RAI, pagando profumatamente le televisioni del Presidente del Consiglio. E’ un autogol della RAI? Non crediamo si tratti di casualità. Piuttosto è lecito chiedersi se non ci sia intenzionalità. La decisione presa dal Direttore Generale è in linea con tutti i suoi comportamenti di censura filo-Berlusconi contro tutti i programmi televisivi che non sono schierati a favore di Berlusconi medesimo. E mentre il teatrino berlusconiano viene alimentato dagli interventi di killeraggio contro Fini dai due quotidiani Libero e Il Giornale, il Presidente di Mediaset, l’astuto Bertoldo Fedele Confalonieri, si frega le mani per aver preso due piccioni con una fava. E gli italiani, fessacchiotti come al solito, non hanno ancora capito il gioco. Anzi, accettano di fare la parte dei tonti come nel vecchio adagio del gioco delle “tre carte” in cui chi lo conduce dice sottovoce agli astanti: “chi conosce il gioco faccia silenzio”! Te capì?

mercoledì 20 ottobre 2010

Bersani unfit a organizzare il progetto di alternativa al governo Berlusconi.

Silvio Berlusconi è l’attuale Capo del governo italiano legittimato democraticamente a governare nell’attuale legislatura per altri tre anni ancora. Questo fatto incontestabile è il frutto della vittoria del centrodestra alle ultime elezioni nel 2008, dopo l’infelice governo delle sinistre che ha governato (male) per due anni con Prodi dal 2006 al 2008. Il problema odierno è che l’opposizione dovrebbe tentare di proporre una linea politica chiara in contrapposizione con quella della maggioranza, informando i cittadini sulle differenze che esistono nei due progetti politici dei due schieramenti. Il fatto è che, allo stato attuale dopo quasi metà legislatura, il più grande partito dell’opposizione, ovvero il PD, non ha le idee chiare su come vincere alle prossime elezioni. Anzi, non ha idee. Il che è tutto dire per un partito che ambisce ad avere il premierato. Delle due l’una: o il PD di Bersani decide di scegliere una linea politica moderata, scegliendo l’alleanza con gli altri moderati del centro e abbandonando definitivamente il progetto politico di andare insieme con la sinistra e l’Idv, oppure si schieri apertamente con la sinistra tutta, abbandonando definitivamente il centro moderato. Non esistono vie di mezzo. O l’una o l’altra. Quando noi affermiamo che l’opposizione finora non ha fatto vera opposizione intendiamo dire che il PD non ha mai deciso e non vuole decidere “che cosa fare”, creando delle situazioni francamente imbarazzanti come quella che si riferisce al candidato premier delle prossime elezioni. Nel suo statuto c’è scritto a chiare lettere che è obbligatorio scegliere il candidato premier mediante delle votazioni primarie con la base e i simpatizzanti del partito. Quanto dovrà aspettare il paese per sapere quale delle due strade il PD intende percorrere? Noi diciamo che l’attuale dirigenza del PD è inabile a pilotare il partito nel futuro. Per usare il termine adoperato dal Financial Times contro Berlusconi, Bersani è inadatto a risolvere questo problema perché non ha la stoffa del traghettatore del partito dall’opposizione al governo. Potrebbe esser un buon ministro, ma è inefficace e inadeguato a questa delicata e importante opera di progettazione e di organizzazione delle prossime elezioni. Ecco perché il PD rischia di far rivincere Berlusconi in maniera facile. Visto come sono andate le cose forse era meglio che nel 2006 Prodi invece di fare quel governo in cui fu ricattato dalle sinistre avrebbe dovuto accattare la proposta di Berlusconi di fare un governo di unità nazionale. Sarebbe stato molto meglio, perché non ci sarebbe stato l’attuale governo malefico berlusconiano con tutte le appendici sconcertanti e stomachevoli della politica del centro destra. Noi lo avevamo detto che un governo con gli scriteriati della sinistra massimalista avrebbe peggiorato le cose. Ma Bersani ha in serbo di peggio: non sa decidere. Un po' poco come leader dell'opposizione.

martedì 19 ottobre 2010

Gianfranco Fini riconosce di avere sbagliato.

Fra le tante possibilità che si hanno oggi di scrivere un post abbiamo deciso brevemente di commentare la lettera che Gianfranco Fini ha scritto al Direttore del Corriere della Sera a proposito dell’articolo, in verità molto velenoso, di Galli Della Loggia di ieri contro il sistema in generale e contro Gianfranco Fini in particolare. Non è possibile qui ripercorrere la querelle. Diciamo solo che Gianfranco Fini afferma categoricamente “il suo diritto a cambiare opinione”. Quando lo abbiamo letto per poco non siamo saltati sulla sedia e ci siamo detti se Fini fosse impazzito a fare una dichiarazione del genere. Mai nei nostri ricordi c’è stato un episodio del genere nella politica italiana. Mai un politico italiano, nell’ultimo millennio, ha detto che rivendicare il diritto a cambiare opinione è legittimo. Di solito i politici vanno orgogliosi del contrario. E cioè che rivendicano il diritto alla coerenza e, pertanto, mai e poi mai avrebbero cambiato opinione. Non è che noi non riconosciamo il diritto alla coerenza. Ci mancherebbe altro. Non la riconosciamo quando come nel caso di Berlusconi & C. i pessimi soggetti prima sbagliano in modo plateale e poi rivendicano la coerenza a continuare a sbagliare. Non va. Proprio non va. Questa tipologia di coerenza non ci interessa e la consideriamo presunzione o, peggio, fare i propri interessi di bottega. Ma ve lo immaginate Berlusconi che riconosce di avere sbagliato e che rivendica il diritto di cambiare opinione, per esempio, nel giudicare i magistrati che prima chiamava "comunisti" e che dopo sarà disponibile a farsi giudicare dalla magistratura? Due parole per concludere. Ammiriamo Gianfranco Fini per la sua dichiarazione e prendiamo atto che nel panorama squallido di quasi mille parlamentari il suo è stato finora l’unico afflato in grado di ammettere di avere sbagliato in precedenza e di auto correggersi, cambiando opinione. Quando afferma che fu l’ultimo Segretario nazionale del partito fascista, chiamato MSI, e che adesso è approdato su posizioni assolutamente contrarie a quelle fasciste, per noi è musica nelle orecchie. Vuol dire che il paese ha per la prima volta un vero uomo politico di cui fidarsi, che si assume la responsabilità di dichiarare che quando ci si accorge di avere sbagliato è un diritto cambiare idea. Al contrario, il nostro ricchissimo Capo del governo, Silvio Berlusconi, è “coerente” con l’idea di continuare a gettare odio e fango sui suoi avversari. Mentre spunta fuori la notizia che a essere coinvolti nei dubbi delle ville nel paradiso fiscale berlusconiano di Antigua sono immischiati molti dell'entourage di Berlusconi, c’è un altro che riconosce di avere sbagliato e umilmente chiede di avere il diritto di cambiare opinione. Ma lo vogliamo fare un paragone tra i due co-fondatori del Pdl? Il primo spande odio a destra e a manca e pretende di avere uno scudo giudiziario contro le sentenze della magistratura con leggi ad personam mentre l’altro afferma di rivendicare “il diritto a cambiare opinione, assumendomene tutta la responsabilità. Accade di cambiare opinione quando ci si pone con umiltà e senza pregiudizi di fronte alle cose della vita, alla storia, ai mutamenti che investono la società nella quale si vive[…]”. Basta così Presidente Fini: a buon intenditore poche parole.

lunedì 18 ottobre 2010

Il Giornale a senso unico: non poteva essere diversamente.

C’era un po’ di curiosità in aria questa mattina, a proposito del fatto di che cosa avrebbe scritto Il Giornale sulla vicenda delle ville di Silvio Berlusconi alle Antigue dopo il servizio di Milena Gabanelli in televisione ieri sera nel suo programma Report. Il servizio ha mostrato una serie di circostanze dubbie circa i pagamenti dell’acquisto del complesso residenziale, effettuato dal solito giro di società oscure, per 22 milioni di euro. Le possibilità offerte al Giornale (ricordiamo che si tratta del quotidiano del fratello di Silvio Berlusconi) erano molteplici. Per esempio il Direttore avrebbe potuto difendere Berlusconi e non parlare più di Fini perché i dubbi e le perplessità ci sono in entrambi i casi, e per imparzialità la faccenda sarebbe stata chiusa. Oppure, avrebbe potuto per par condicio criticare entrambi, Fini e Berlusconi, poiché tutti e due i politici di destra hanno commesso delle irregolarità, o cose del genere. In alternativa, c’era anche la possibilità di affermare che sia Fini, sia Berlusconi, non hanno commesso nulla di penalmente rilevante e finirla lì. Invece, guarda un po’, Il Giornale di Berlusconi ha scelto la strada peggiore e in definitiva quella che li smaschera definitivamente come lacchè del Corsaro di Arcore: quella di difendere l’indifendibile Berlusconi e quella di continuare gli attacchi solo contro Fini. Cosa dire di questa faccia tosta al limite della spudoratezza di un giornalismo umiliante per il modo parziale e sfrontato con cui tratta le informazioni a favore del Capo? Siamo dell’avviso che è meglio tacere e chiudere qui la faccenda, perché queste persone servili di un giornalismo di accatto meneghino non meritano neanche di essere menzionate. Loro se la cantano e loro se la suonano, con gli strumenti del Capo, ovvero con abbondante olio per oliare i cannoni del killeraggio.

martedì 12 ottobre 2010

Lo sfrontato recidivo.

Il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ha dichiarato che se in questo periodo la sua immagine è sfocata “la colpa è del partito e non del governo”. In altre parole Berlusconi scarica la responsabilità del calo dei consensi sul PDL e tiene fuori l’azione del governo da lui presieduto. Pensiamo di non avere capito bene. Che senso ha affermare che se le cose non vanno bene sul piano del consenso politico nel paese, la colpa è del partito che lo ha eletto Capo del governo e non del capo del governo che è anche capo del partito? Vogliamo capire cosa passa nella sua mente quando afferma che "è il partito che deve cambiare e non il governo". Vuole forse dire che la decisione presa dal suo partito che ha licenziato in tronco Gianfranco Fini è stata una stupidata? Perdonate la domanda ma chi ha cacciato via Fini dal PDL mister X o lui? Noi pensiamo che il Presidente del Consiglio abbia sbagliato clamorosamente la strategia di questi ultimi sei mesi di politica interna. In pratica, non si è reso conto - perché accecato dall’ira - che stava perdendo la bussola e adesso cerca di scaricare la responsabilità su qualcun altro. Il fatto grave è che tenta, per l’ennesima volta, dopo essere stato colto con le mani nella marmellata, di dire che lui non ha rubato la marmellata pur avendo le mani piene di marmellata. Spudorato come sempre. Ma il giochino che gli è riuscito molte volte adesso comincia a non funzionare più. Gli italiani iniziano ad essere stufi di essere considerati degli sprovveduti da un marpione come lui. Per Silvio Berlusconi è iniziata la china, ovvero la diminuzione dei consensi che lo porterà gradatamente alla sconfitta. E saranno guai, perché lui non è abituato a perdere.

giovedì 7 ottobre 2010

Il nuovo Festival di Sanremo: una boiata pazzesca.

Sembra che ce l’abbiano fatta a far partorire la nascita del programma per eccellenza della televisione italiana. Stiamo parlando del Festival di Sanremo, il mitico “Sanremo è sempre Sanremo”. I vertici berlusconiani della Rai hanno già deciso la conduzione e i contenuti della prossima edizione del festival di Sanremo. Un grande cantante, due straordinarie attrici e due eccezionali promotori di battute divertenti allieteranno il popolo festivaliero di Sanremo. Siamo tutti contenti? Tutti contenti non diremmo. Noi non lo siamo per niente. I sostenitori dei programmi televisivi berlusconiani sicuramente si. Loro, quando proponi programmi leggeri, insulsi, fatte di barzellette, battutacce da avanspettacolo con alcune veline di turno scosciate al punto giusto, sono felicissimi. Trascorrono ore e ore davanti alla televisione per ascoltare i pettegolezzi del giorno, non perdendo una sola puntata. Adesso lo chiamano gossip per nascondere la verità che si tratta di chiacchiere vuote e insulse e nulla più. Ma i giornalisti che seguono queste mode aumentano sempre di più e devono vendere la loro “preziosa” merce, senza vergognarsi di sprecare tempo e denaro a fare avanspettacolo e nulla più. Perché di questo si tratta. Lentamente, “piano piano, tomo tomo, cacchio cacchio” diceva Totò, sono riusciti a trasformare la televisione italiana da mezzo culturale e strumento di informazione a parterre di scontri polemici, frequentato da volgari polemisti che si insultano reciprocamente urlando, con contorno di veline che danzano e basta. Dunque, eccoli qui. Cominciamo dal conduttore, il cantante Gianni Morandi. E’ il ruolo che compete al presentatore nazional-popolare di turno. Il bravo ragazzo di quaranta anni fa va a prendere il posto dei vari Pippi Baudi. Su chi "venne mandato dalla mamma a prendere il latte" molti anni fa non vogliamo infierire. Ma sul resto si. Ed eccoci ai pezzi più pregiati che i Signori berlusconiani della RAI sono riusciti a tirar fuori dal cilindro. Le due vallette collaboratrici (mah!) saranno senz’altro all’attenzione di stampa e tv. La Canalis, ancora non scaricata dal vecchio marpione King Georg, sarà al top dell’attenzione. Come si vestirà, da collegiale o da pin up? Bella domanda. Non parliamo della sudamericana di turno perché ci sarebbe da restare inorriditi. Che cosa ci proporrà la mielata e conturbante argentina? E come duetterà con il conduttore? Dulcis in fundo le Iene. Che siano due irriverenti ed efficaci provocatori non ci sono dubbi. Che facciano giornalismo sagace e di attacco ne siamo più che convinti. Ma “che c’azzecca” con Sanremo? Di questo passo il prossimo anno con Roma Capitale dello Stato Federale d’Italia le truppe RAI berlusconiane potranno proporre di portare a Sanremo, magari come unico presentatore, il comico barzellettiere romano Maurizio Battisti. Si, ma con Sanremo “che c’azzecca”?

lunedì 4 ottobre 2010

I Dieci Comandamenti negoziabili a piacimento.

Non ci avremmo mai creduto. Eppure si è verificato. Per noi è come se fosse avvenuta la fine del mondo. Un religioso che non condanna una bestemmia contro Dio non l’avevamo mai visto, nè immaginato. Ecco di cosa si tratta. Mons. Salvatore (Rino) Fisichella, Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione ha giustificato la bestemmia di Silvio Berlusconi dicendo che “è necessario contestualizzare”. Penso che a questo punto non ci sia più nulla da dire sulla questione dell’appoggio di una parte della Chiesa Cattolica al Cavaliere per giustificare sempre e comunque il volgare barzellettiere Capo del governo. Abbiamo letto le poche e incisive righe del blog di Marco Bracconi che ci hanno colpito per la straordinaria capacità di sintesi e l’efficacia delle sue parole su questo fatto gravissimo di un Vescovo cattolico che ha avuto il coraggio di giustificare Berlusconi bestemmiare. Ecco cosa ha detto Marco Bracconi nel suo post intitolato Il Lodo Fisichella: “Era opinione diffusa che dopo la strepitosa giustificazione della comunione data a un divorziato (leggi), monsignor Fisichella non potesse fare di meglio. E invece oggi si è superato.Sulla bestemmia di Berlusconi il monsignore sostiene infatti che “bisogna sempre saper contestualizzare le cose”. Insomma, è vero che “non bisogna diminuire l’attenzione quando siamo persone pubbliche, ma in Italia dobbiamo essere capaci di non creare burrasche per strumentalizzare le situazioni politiche”.Dunque, dal presidente del Consiglio Pontificio per l’evangelizzazione apprendiamo che a differenza dell’aborto, della fecondazione, dell’eutanasia, delle nozze gay, la bestemmia è valore negoziabile. Come le escort o la denuncia dei clandestini. Chapeau alla chiesa di Roma, che mentre i politicanti blaterano di riforme ha riformato nientemeno che i suoi dieci comandamenti. Senza nemmeno la lunga e noiosa procedura dell’articolo 138.
Invitiamo a leggere direttamente lo scritto di Bracconi al seguente link. E con questa gravissima dichiarazione del Monsignore di Santa Cattolica Chiesa Romana chiudiamo qui la discussione sulle bassezze del religioso supporter del Pdl. E poi ci si lamenta del relativismo?

sabato 2 ottobre 2010

Scioperi al Corriere della Sera: un rito o una difesa di interessi corporativi?

Questo post vuole mettere in evidenza che ancora oggi nell’anno 2010 esistono nella nostra società e nel mondo del lavoro, in particolare in quello giornalistico, sacche di resistenza pseudo-sindacali che nel migliore dei casi non hanno più senso, mentre nel peggiore dei casi sono una difesa corporativa di privilegi di un giornalismo che non esiste più. La vicenda è nota. Il Corriere della Sera perde fette considerevoli di lettori e perde soprattutto qualità e affidabilità del suo sistema di comunicazione. Il perché è presto detto. Lo ha ricordato nella sua nota alla Redazione il Direttore De Bortoli, il quale denuncia da parte della Redazione qualsiasi tentativo di innovazione con il rischio concreto che il CdS rischia di rimanere fuori dai grandi canali di comunicazione giornalistica. Ma di cosa si tratta con precisione? Due sono le ragioni che stanno facendo scivolare il Corsera verso l’inaffidabilità e l’inadeguatezza della sua comunicazione. Prima però vogliamo sgombrare il campo da un equivoco. Noi non difendiamo né il Corriere né il suo Direttore. Anzi, denunciamo il fatto che il Corriere di questi ultimi anni, per la sciagurata decisione politica di essere equidistante politicamente da maggioranza e opposizione, è scivolato su una china di nullità giornalistica che lo rende un organo di informazione inutile. Insomma, il Corsera di oggi non è né carne, né pesce e spesso tenta di nascondere posizioni pro-governative inaccettabili. E passiamo alle ragioni dell’inadeguatezza sempre più spinta del giornale di De Bortoli che deve subire in questi giorni pesanti scioperi corporativi. In primo luogo, c’è una Redazione che ancora oggi adopera categorie sindacali logore, superate e chiaramente perdenti in un mondo in cui il giornalismo cambia di giorno in giorno per l’introduzione delle nuove tecnologie e di nuove esigenze nella comunicazione. In secondo luogo, la ostinata intransigenza della Redazione ad accettare innovazioni tecnologiche. A quanto pare, e ci crediamo perché conosciamo cosa significa difesa corporativa di interessi, la Redazione si rifiuta di introdurre cambiamenti nella logica della firma dei pezzi da pubblicare e, soprattutto, ha paura dell’innovazione. Si sta verificando in modo più consistente ciò che si è verificato nel mondo della scuola statale dove, alla fine degli anni novanta, abbiamo assistito alla inaccettabile resistenza dei docenti sindacalizzati di sinistra di rifiutare tout court il nuovo, cioè si sono rifiutati di accettare l’introduzione di programmi più mirati a colpire bersagli educativi significativi e hanno fatto una resistenza ottusa all’introduzione delle nuove tecnologie. Per esempio, la Redazione fa resistenza nello sviluppare l’informazione sul web. Dice la Redazione che il web non serve e se si pretende di pubblicare notizie su questo nuovo canale noi pretendiamo una speciale remunerazione. Mettetevi nei panni di un cittadino italiano all’estero dove, com’è noto, la lingua italiana è una totale sconosciuta, alla faccia dei proclami del Ministro degli Esteri Frattini la cui opera in Europa è di una inconsistenza preoccupante. In qualunque albergo si va a pernottare ormai c’è il wi-fire col quale ci si collega immediatamente in rete e si leggono le notizie. Se si va sul sito del Corsera si nota subito l’insufficienza e l’inadeguatezza delle notizie che non solo sono superficiali ma che non vengono aggiornate se non dopo molto tempo. Al contrario, se si va sui siti dei giornali internazionali in lingua straniera le notizie ci sono, eccome! E’ mai possibile che il settimo paese industrializzato del mondo deve trattare così i suoi cittadini all’estero? Vergogna a Frattini e al Capo del Governo, che in questa sede non vogliamo nemmeno nominare dopo avere ascoltato in TV la bestemmia che ha pronunciato raccontando una barzelletta su Rosy Bindi. Ma si può andare avanti così? E che dicono i cattolici della CEI di un Presidente del Consiglio da loro entusiasticamente votato alle ultime elezioni che bestemmia per suscitare più interesse e ilarità nelle sue barzellette?

venerdì 1 ottobre 2010

Ennio Doris il family banker ritorna alla carica.

Eccolo là. E’ tornato di nuovo con un altro dei suoi vecchi e inguardabili spot. E’ Ennio Doris, Presidente della Banca Enniolanum, pardòn Mediolanum, la banca privata al 50% con Berlusconi. Ci prova di nuovo per convincere qualche sprovveduto a mettere i suoi soldi nelle casse della sua banca di affari. In maniche di camicia, con il colletto abbottonato e la cravatta, Doris è convinto di essere il miglior Direttore di banca italiano, anzi del mondo. Con uno sproloquio di parole inglesi, messe in fila una dopo l’altra a ripetizione, senza logica per fare scena, colpisce l’attenzione dello spettatore e lo costringe a subire l’accattivante messaggio subliminale fatto di ammiccamenti, di sorrisi sornioni messi al posto giusto, dando l’impressione di essere il più competente banchiere del mondo che assicura al potenziale cliente sicurezza e alta remunerazione. Il tipo di pubblicità invoglia a provare, accettando la logica del “banchiere di fiducia e di famiglia”. Ma le cose non devono andare bene per il Nostro perché quando si fa tutta quella pubblicità vuol dire che i clienti sono pochi e la banca non decolla. In due giorni è stato presente almeno nel 90% dei media, colpendo il target massimo possibile. Adesso non disegna più il cerchio sulla sabbia con il bastone ma fa di tutto per attrarre capitali. Eppure non ha sfondato, nonostante abbia alle sue spalle il gigante pubblicitario Mediaset e il colosso Berlusconi. A vedere lo sketch su Youtube c’è da sbellicarsi dal ridere, ma non crediate che lui scherzi. Dicono che sia uno squalo. A noi ci sembra piuttosto un delfino, col faccione tondo. In ogni caso non ci frega. Noi i pochi soldini che abbiamo li mettiamo nelle casse di una banca quadrata, non circolare. Te capì?

giovedì 30 settembre 2010

Il mio ventinovesimo viaggio in Europa: Belgrado.

Belgrado (27 Settembre - 29 settembre 2010)

Sono andato a Belgrado in Cpбија (Srbija), in italiano Serbia, a visitare la città nella quale si incontrano i due fiumi: il Danubio e la Sava. La ragione di questa mia visita alla vecchia capitale della Jugoslavjia, paese che adesso non esiste più, ha a che fare con il fatto che ho da poco concluso il mio progetto di visita di tutte le ventisette capitali degli Stati dell’Unione Europea. Avendo riacquistato la mia libertà di decisione nella scelta delle città europee da visitare al di fuori dell’UE, mi è sembrato logico scegliere Beograd per una serie di fattori storico-politici di grande interesse. Belgrado, nell’immaginario politico e geografico di chi ha vissuto gli ultimi cinquant’anni di vita europea, rappresenta una delle più importanti e significative città d’Europa, per essere stata per decenni al centro dell’interesse politico mondiale perché capitale dei cosiddetti Paesi non-allineati. Pertanto, molto semplicemente, ho deciso di fare una breve visita alla città che fu la capitale del paese di Josep Broz Tito. Avverto l’esigenza di fare subito una premessa alla quale tengo molto, non solo come innamorato di tutti i popoli europei, nessuno escluso, ma soprattutto come cittadino europeo che crede profondamente nell’unificazione degli Stati europei in un processo che vada al di là dell'UE stessa. Mi riferisco all’ idea ingiusta di pensare ai Balcani e ai popoli che vi abitano come a un’idea minore di Europa in contrapposizione all’idea maggiore dell’altra Europa, quella cosiddetta occidentale e capitalista, che le è superiore. Non sono d’accordo. A parte il fatto che l’Europa è bella e sorprendente proprio perché è varia e riccamente sfumata in mille aspetti differenti della società ma tutti riconducibile a un’unica matrice culturale, l’idea di una immagine stereotipata sud orientale, chiamata Balcani, ottomana, arretrata, indolente e frammentata in tante forme fra loro contrapposte non è accettabile. Spero che anche che con i miei diari di viaggio effettuati adesso nei paesi balcanici lo dimostrino. La Serbia da questo punto di vista è un esempio emblematico della "balcanicità" dei suoi tratti geografici e culturali. A maggior ragione saranno balcanici gli altri paesi meno influenti della Serbia ma comunque sempre caratteristici della loro posizione strategica nella parte sud orientale dell'Europa. l ventinovesimo viaggio ormai non più della sola Unione Europea ma di tutta l'Europa, pertanto, mi ha portato dal 27 al 29 settembre 2010 a Beograd, anzi Београд, visto che in Serbia la lingua ufficiale prevede l'uso dell'alfabeto cirillico lo stesso di quello della Russia. Riporto qui di seguito qualche riflessione personale su questa ventinovesima e piacevole vacanza, allo scopo di lasciare testimonianza di quanto i viaggi possano arricchire chiunque li effettua e, perchè no, anche chi ne legge i resoconti.
Primo giorno. Iniziamo dalla partenza. Sono le 8.03 quando a Roma Ostiense prendo il treno per Fiumicino Aeroporto. Nell’attesa del treno, sulla banchina del binario 12, osservo il movimento di treni e di persone davanti a me e penso a tutti i miei viaggi che hanno avuto origine da questa banchina, così ben nota alla mia mente e ormai gradevole nei miei ricordi di belle giornate trascorse nell'attesa di volare e viaggiare per città e luoghi del nostro Continente. Sul treno c’è il solito movimento di viaggiatori che vanno all’aeroporto ma anche di studenti e lavoratori che vanno a lavorare. Ore 8.35, arrivo alla stazione dell’aeroporto di Fiumicino. Scendo dal treno e imbocco il tunnel per andare al Terminal T3. Adesso si chiama così, mentre negli anni precedenti si chiamava Terminal B. Al gate C3 mi aspetta un aereo della Jat Airways, lo JU 405, delle 10.35 per Beograd. Il biglietto è un biglietto elettronico che ho prenotato in internet col codice 2MPPJ4 al prezzo di 195 € andata e ritorno. Rapide formalità al check-in e alle 10.20 sono seduto comodamente sull’aereo vicino al finestrino, al posto 16F, con il telefonino spento e un quotidiano in mano.Vicino a me il posto rimane libero per l’intero tragitto; l’altro posto accanto è occupato da un signore che per l’intero volo non ha detto una sola parola. Siamo in anticipo sui tempi di partenza, il che per Fiumicino è una novità assoluta. Ma ho fatto i “conti senza l’oste” perché quando la torre di controllo dà il via libera per muoverci dalla piazzola di sosta, l’aereo trova davanti a sé ben 18 altri aeromobili che lo precedono in fila sulla pista. Il comandante si scusa e noi rimaniamo praticamente fermi per circa 45 minuti sulla pista, muovendoci a passo d'uomo, in attesa del nostro turno. Da questo punto di vista i tempi di percorrenza si sono dilatati a dismisura in modo insensato, trasformando un piacevole e breve percorso in un antipatico e lungo itinerario temporale che ha indispettito tutti i viaggiatori. Alle 12.30, con appena un quarto d’ora di ritardo, l’aereo della Jat atterra sulla pista dell’aeroporto “Nicola Tesla” di Beograd. Siamo in ritardo sulla tabella di marcia. In pochi minuti con il mio bagaglio a mano, un vecchio trolley blu col quale ho visitato tante capitali europee, sono al posto di controllo della polizia serba, in fila tra decine di giovani atleti svedesi in tuta giallo-blu, per ricevere il visto d’entrata da certificare con un timbro sul mio passaporto. L’aerodrom, come si chiama qui l’aeroporto, è piccolo e in pochi minuti mi trovo all'uscita nella sala arrivi, osservato in modo alquanto interessato da alcuni tassisti, più o meno regolari, che mi rivolgono in un primo tempo sguardi di attenzione e, successivamente, proposte non certo sussurrate all'orecchio per fornirmi un taxi. La loro sfrontatezza mi irrita e così senza degnarli di uno sguardo esco sul piazzale dell’aeroporto per vedere di individuare lo shuttle pubblicizzato sulla mia guida di viaggio che dovrebbe, uso il condizionale, per una tariffa di 8.00 euro trasportarmi in una delle tre fermate previste a Belgrado città. Ma di uno shuttle in grado di farmi evitare le facce toste dei tassisti belgradesi nemmeno l’ombra. Decido di rientrare nella sala arrivi e prendermela più comodamente. Sia chiaro, non ho alcuna intenzione di farmi spennare da un tassista serbo. Nella mia vita di viaggiatore e di frequentatore di aeroporti, di tassisti ne ho visto di tutti i colori e a tutte le latitudini (e longitudini). Finora pochissimi sono stati i taxi che ho preso e nessun tassista mi ha mai spillato più del dovuto. Non voglio iniziare oggi a fare il turista americano gonzo e sorridente. Dunque, per prima cosa ho necessità di cambiare dei soldi in valuta locale. Mi serviranno per pagare il mezzo di trasporto (qualunque esso sarà) e i primi momenti di vita a Belgrado città. Il cambio delle valute, fino al giorno prima pubblicizzato sul sito web dalla Banca d’Italia, è di 1 € = 105,60 dinari. Mi aspetto di trovare un cambiavalute con valori da strozzinaggio e invece trovo una banca onesta, l’Alpha Bank, succursale Aerodrom Nikola Tesla, che alle 13,15 circa mi cambia 100 euro con ben 10464,94 RDS. Si tratta di un buon cambio e, tutto contento, esco dall’ufficio. In questi casi è meglio fidarsi delle banche che dei cambiavalute locali. Con in tasca più di 10 mila dinari in moneta serba attraverso la sala e vengo inevitabilmente fermato dall’ennesimo tassista, molto probabilmente abusivo, che mi propone di portarmi a Beograd per 50 euro. Si, ha detto proprio “fifty thousand” euro! Rifiuto la proposta in modo sdegnato e lo stesso atteggiamento lo mostro nei confronti di un altro "abusivo" che mi chiede un po’ meno, ma sempre un valore spropositato, cioè 30 euro. Esco di nuovo nel piazzale dell’aerostazione percorrendo il tratto di salita che porta al marciapiedi della sala partenze dell’aeroporto. Continuo a non vedere nessuno shuttle in vista e a un giovane che passa vicino a me chiedo in inglese dove si trova la fermata dello shuttle. Mi risponde che all’entrata della sala partenze c’è la fermata del bus.In effetti, anche se da lontano, vedo benissimo la fermata, ma è una fermata degli autobus, in particolare del bus n.72 (nella foto a sinistra), non dello shuttle. Ricordando che nel sito web della società dei trasporti belgradese GSP questo autobus è l’unico che collega l’aeroporto con il centro città, facendo capolinea nella centralissima piazza del mercato di Zeleni Venac, e ricordando le facce antipatiche dei tassisti, non ci sto su a pensare due volte e salgo sul bus pagando al conducente 100 dinari per il biglietto. In pratica con meno di 1 euro ho risolto il problema del collegamento con la città. E quel tassista ha avuto la faccia tosta di chiedermi un prezzo equivalente a cinquanta volte quello che ho pagato io. Per giunta, vengo a sapere che se avessi comprato il biglietto prima di salire sull’autobus il prezzo sarebbe stato ancora di meno, cioè 62 dinari (questa volta ottanta volte di meno), valido per la zona 1 e 2 mentre per la sola zona 1 o solo la zona 2 il prezzo è addirittura 42 dinari: come dire 40 centesimi di euro! Ecco cosa significa sul piano della praticità e della concretezza del risparmio essere informati sui mezzi di trasporto quando si va in un posto sconosciuto. Mi siedo vicino a un finestrino sul lato sinistro dell’autobus e osservo fuori il paesaggio. La strada all’inizio è ampia, ben asfaltata e diritta, e l’autobus la percorre a velocità sostenuta. Poi cambia e diventa più stretta, con frequenti curve, sintomo che ci troviamo a percorrere delle strade meno importanti, di periferia. Lo dimostra il fatto che ai bordi della strada ci sono molte discariche di immondizia a cielo aperto, situate tra case successive poste ai bordi della strada. Il paesaggio mostra una desolante povertà i cui simboli sono evidenziati dalla trascuratezza del paesaggio, dal fondo stradale sconnesso, dallo stato di manutenzione delle case e dalla qualità delle stradine che immettono nella statale, che non sono asfaltate. Mentre osservo il mondo che mi circonda avverto, insieme all'ansia di un viaggio emotivamente impegnativo, una piacevole sensazione nel trovarmi in questo paese che non ho mai visitato e col quale non avrei teoricamente nulla in comune. Invece, in questi momenti, mi sento in forte sintonia con tutto ciò che vedo intorno a me. Che strano. Tutto mi risulta gradevole, nonostante il paesaggio non mostri nulla di interessante. Forse è proprio questo il segreto di questi posti: la semplicità e il valore della naturalezza delle cose. Sono contento e osservo con interesse il panorama. Dopo 30 minuti circa di viaggio entriamo nella zona nuova di Belgrado. E’ la famosa Novi Beograd di "titina" memoria. Il fiore all’occhiello dell’ex comunismo jugoslavo che mostra palazzi e grattacieli immersi in un verde curato e ostentato con orgoglio. Nel frattempo sale sul bus una pattuglia di due controllori ai quali mostro il biglietto acquistato sull’autobus. Con un cenno del capo mi fanno capire che è tutto a posto ed io ritorno ad osservare gli alti palazzi di Novi Beograd con le molte sigle pubblicitarie poste sul tetto, in attesa di attraversare il ponte sul Danubio che mi porterà a Zeleni Venac. Dopo pochi minuti, infatti, ecco il ponte, chiamato Brankov most. Ogni volta che percorro un ponte su un fiume ho una maledetta paura di precipitare ed essere inghiottito dalla corrente. E’ un pensiero ricorrente che mi viene istintivo perché ho paura di nuotare nei fiumi, soprattutto in un fiume dalla grande portata com’è il Danubio. Dal ponte Brankov imbocchiamo la Brancova Ulica e, subito dopo al capolinea, scendo. Eccellente scelta la mia di prendere il bus 72. Sono molto soddisfatto della decisione presa. In pratica mi ritrovo in tasca 50 euro in più, pardon 49 euro in più, per non avere scelto il taxi. Decido fin da adesso che farò allo stesso modo al ritorno, pagando in anticipo il biglietto di 62 dinari. Guardo l’orologio. Ormai è tardi per andare in albergo, sistemarmi in camera e poi muovermi di nuovo per il ristorante, onde mettere sotto i denti qualcosa da mangiare. Non metto nulla tra i denti dalla colazione che ho fatto alle 6.15 del mattino. Decido pertanto di invertire l’ordine. Andrò subito, con il trolley al seguito, al ristorante e poi, con comodo e a pancia piena, mi recherò in hotel.Sulla guida di Belgrado avevo sottolineato il nome di un ristorantino serbo vicino a Zeleni Venac. Con il mio piccolo trolley mi muovo verso il ristorante Mikan, in Maršala Birjuzova 14. Si tratta di un piccolo ristorante a impronta tipicamente serba, che serve piatti della cucina locale tradizionale. Ho fame e l’idea di riempire lo stomaco vuoto con qualcosa di caldo mi dà una carica ragguardevole. In fondo nella foto vedo davanti a me in leggera salita un grande tunnel illuminato percorso da un notevole flusso di auto e bus ma per i pedoni è impercorribile per la mancanza di corsie pedonali. Decido così di seguire la corrente delle persone che salgono lungo la piccola via accidentata in fondo a sinistra nella foto, piena di scalini della zona del mercato. Mi trovo così in una via grigia e cementificata in modo disordinato che per qualche verso mi ricorda certe stradine orientali asiatiche, dove a cinquanta metri di distanza vedo l'insegna del ristorante.Non credo ai miei occhi. Dopo un solo minuto mi trovo seduto a un vecchio tavolo di legno scuro in un angolo della stanza poco illuminata a ordinare il pranzo. Il menù da me scelto prevede una calda e piacevole čorba di vitello (una specie di consommé con piccoli cubetti di carne e piccoli pezzetti di vegetali) e il piatto forte del pranzo, costituito da ben dieci ćevapčići (polpettine di manzo alla griglia di forma allungata) e insalata mista con un bicchiere di birra Jevrem da 500 cl. Nel mentre aspetto la zuppa un giovane alto e magro entra nella sala e appoggia sui tavoli occupati dai pochi clienti presenti, me compreso, un libro, scritto in caratteri cirillici. Si vede che ha premura ed è nervoso. Si avvicina al mio tavolo indicandomi il libro. In un primo momento non capisco il senso. Gli dico prima in serbo ne govorim srbji e poi in inglese che non capisco il serbo e lui prontamente lo sostituisce con un altro scritto in inglese. Perbacco, vedo che l'amico è molto interessato al negozio! Guardo la copertina del libro e riconosco la foto di un capo militare serbo che mi ricorda, non vorrei sbagliare, il comandante delle milizie serbe che ha procurato una strage di civili in Bosnia. Gli dico subito che non mi interessa e gli restituisco preoccupato il libro. In questi casi è meglio farsela alla larga da questioni di politica locale: non si sa mai cosa possa succedere interessandosi di politica in questi paesi. Il giovane scappa via velocemente, guardato con complicità dal cameriere, nel mentre arriva l'ottima e gustosa zuppa che divoro a cucchiaiate, aiutato tra un morso e l’altro dall’ottimo pane serbo (tipo arabo) caldo servitomi dal cameriere, un giovanottone alto e dai movimenti lenti. Il piatto principale, che io considero come secondo, arriva subito dopo. Al quinto ćevapčić sono sazio e mentre mangio l’insalata decido di lasciare le altre cinque polpettine perché non voglio rischiare una cattiva digestione. Peccato. Il prezzo è economico. Pago solo 800 dinari, meno di otto euro. Ringrazio il cameriere, saluto con un semplice dovigenia e vado via percorrendo di nuovo un tratto della Marsala Birjuzova fino in fondo. Qui un semplice frasario di sopravvivenza serbo.
Senza che me ne accorga, svoltando sulla sinistra su per una piccola salita, mi trovo a sbucare improvvisamente nella strada principale di Belgrado, in Terazjie (sotto nella foto), a due passi da Trg Republike. Si vede bene sulla sinistra il primo grattacielo della città che è il palazzo più alto di Terrazije. Per certi aspetti questa felice novità di trovarmi improvvisamente nel centro preciso di Belgrado, vicino al mio albergo, mi ricorda una storiella, relativa al fatto che a Roma, prima che il fascismo sventrasse le case vicino a S. Pietro per costruire l'ampia via della Conciliazione, si manifestò qualcosa di simile alla sensazione che ho provato io adesso, quando l’ignaro turista che voleva visitare S. Pietro era costretto a girare per viuzze strette e vicine l’una all’altra in un dedalo di stradine. Dopodiché, all’improvviso, usciva improvvisamente nella Piazza della Basilica vedendo davanti a sé la "maestosità del cupolone" di S. Pietro, con effetti che colpivano l'immaginario collettivo. Dicevo, dunque, che da qui per arrivare al mio albergo in Kosovska Ulica 11, all’Hotel Union, ci sono meno di 200 metri. Una prospettiva molto soddisfacente per minimizzare i tempi e la fatica.Arrivo in albergo alle 15.30. L'Hotel Union è posto strategicamente nel centro città. Dopo le formalità di rito alla reception, in pochi minuti sono in camera, al 5° piano, nella stanza 509. La camera non mi piace per niente. Purtroppo non è possibile cambiarla, non solo perché le altre sono nello stesso stato ma, soprattutto, perché quella camera era la sola camera libera quando l’ho prenotata in internet pochi giorni fa. E’ una vecchia camera che avrebbe bisogno urgente di essere rimessa a nuovo. La moquette è rovinata e vecchia, oltreché poco pulita. Le ante delle finestre sono scrostate dal tempo e la vernice che le ricopre cade a pezzi appena leggermente toccata. Ci sono le doppie imposte ed è un vero problema riuscire a chiuderle entrambe ermeticamente, a causa del fatto che le maniglie di chiusura sono logore, poco pratiche e vecchie di decenni. Per non parlare dei muri della camera che hanno un colore grigio e danno la sensazione del vecchio e dello sporco.Sembra che le pareti non siano state rinfrescate da una tinteggiatura da chissà quanti decenni. Sul lato sinistro della foto della camera c'è un televisore enorme, superato, con il tubo a raggi catodici. Con il telecomando riesco a trovare un canale italiano, RAI2 che funziona a intermittenza, che mi permette di seguire il telegiornale. Ci sono tantissimi programmi televisivi, più di cento, di cui almeno la metà in lingua serba. I più gettonati sono i canali musicali che riscuotono tanto successo. Sistemo le camicie e i maglioni nel vecchio e malandato armadio appendendoli con cura. Osservo la camera con attenzione per vedere altri difetti. L’elemento più disgustoso di tutti è il bagno, piccolo, sporco e maleodorante. Insomma, una pessima sistemazione. Anzi, facendo un leggero sforzo di memoria, concludo che si tratta della peggiore sistemazione alberghiera in tutti i miei ventinove viaggi effettuati finora nelle capitali d’Europa, Istambul compresa. E' ovvio che in queste condizioni non credo che farò alcuna doccia. C'è però un punto di forza dell'albergo che è il wi-fi gratuito in camera. Vai a capire le contraddizioni degli albergatori belgradesi.Trovo questa comodità molto intelligente che mi fa dimenticare per un po' i difetti della stanza perchè mi permette di collegarmi in rete per vedere siti web in internet, leggere la posta elettronica e usare il mio palmare come telefono con Skype, per fare telefonate a prezzi veramente contenuti. Alla reception mi avevano detto che il mio username è 1234554321 mentre la password è union5. Il 5 riguarda il piano, mentre union è il nome dell'hotel. Sorridendo con ironia mi dico che la direzione ha scelto dei parametri di sicurezza notevoli. Entro nel bagno, faccio buon viso a cattiva sorte, mi lavo con circospezione nel lavandino con una mia saponetta portata da casa, facendo attenzione a non toccare nessuna superficie del lavabo e dopo pochi minuti esco in strada ad assaporare la mia prima passeggiata belgradese. I muri di fronte all’albergo non sono certo piacevoli da guardare e, tuttavia, pensando che appena una decina di anni fa Belgrado è stata bombardata ininterrottamente per 72 giorni consecutivi dalla NATO devo dare atto alle autorità cittadine che hanno fatto dei miracoli per rimettere la capitale in piedi.Mi trovo senza passaporto nel borsello perché alla reception, con olimpionica indifferenza e come se fosse una cosa normale, mi hanno detto che mi sarebbe stato consegnato il giorno della partenza. In pratica mi hanno requisito il passaporto come nel più classico romanzo di spie di John la Carrè. Ho l'impressione che in hotel non si fidano neanche di un turista tranquillo e sicuro come me. Nella foto l'albergo si trova a poche decine di metri, a sinistra nella via. Percorro un tratto della Ulica Kosovska in direzione del centro, cioè di Trg Republike che è il baricentro della città. Alla fine della Kosovska, sulla destra, c’è una banca, mentre guardando sulla sinistra vedo il tunnel di prima, questa volta dall’altra parte. In effetti non c’è alcuna possibilità di percorrerlo all’interno perché non ci sono dei passaggi riservati ai pedoni. Questo significa che per transitare da qui al mercato di Zeleni Venac è necessario rifare la stessa strada che ho fatto poco fa. Bene a sapersi per il ritorno, quando dovrò fare il percorso inverso. Svolto nella Nusiceva Ulica e per fare il giro dell'albergo imbocco la Svetogorska.In genere faccio una prima conoscenza della città percorrendo le vie intorno all'hotel per individuare i negozi che vendono bottigliette di acqua minerale. Mi serviranno durante il giorno per bere e alla sera quando rientro in hotel per dissetarmi. Qui vicino vedo un orologiaio e siccome ho il cinturino del mio orologio consumato e antiestetico entro per sostituirlo. In vetrina c'è un modello che mi piace e con poche parole serbe e qualcuna in inglese chiedo di sostituirmi il cinturino. Una parola tira l'altra e dopo un po' chiacchieriamo amabilmente, almeno nei toni non certo nei contenuti, con reciproca simpatia per l'essere io italiano e lui serbo. Alle mie dichiarazioni di interesse e di simpatia per la Serbia e per la cucina serba l'orologiaio, eccitato dall'idea di poter far parlare con me in italiano un suo amico, lo chiama e me lo presenta. Insieme conversiamo un po' e dopo una decina di minuti c'è mancato poco che non mi invitassero a casa loro in segno di amicizia.Li ringrazio entrambi e vado via contento di questo piacevole intermezzo. Mi muovo adesso verso Trg Republika che raggiungo subito. C’è tanta gente. Molte persone stazionano nella piazza mentre altre si muovono più o meno velocemente per immettersi nella pedonale Kneza Mihailova Ulica, la via dello shopping e delle boutique. Vengo colpito dai numerosi simboli architettonici tipicamente austriaci presenti nella piazza. Si vedono benissimo le cupole di alcuni importanti palazzi a forma di baldacchino austriaco. In fondo alla piazza c’è la famosa statua del Principe Mihailo a cavallo, vicino al quale agli inizi degli anni ’90 l’opposizione politica organizzò una manifestazione repressa brutalmente da Milosevic. La temperatura nell’aria pomeridiana settembrina di Belgrado è più che accettabile anche se c'è un po' di umidità nell'aria.Alcuni passanti sono con le maniche corte, beati loro, altri con abiti leggeri. Il traffico nelle strade è intenso e sento frequentemente suonare il clacson. Raramente si vedono delle strisce pedonali per attraversare le strade. In quelle più larghe sono previsti i sottopassaggi mentre nelle altre ci sono semafori che prevedono la scansione, in colore rosso, dei secondi che rimangono prima di attraversare. Ma l'intervallo di tempo è oltremodo elevato, addirittura più di settanta secondi. Faccio una passeggiata prima verso Trg Slavija, e poi in Terrazije. Percorro quest'ultima per circa mezzo chilometro immergendomi nell'atmosfera belgradese pensando a come poteva essere quella strada durante gli anni luminosi della Belgrado di Tito. Ripercorrere le sensazioni da me provate durante gli anni della Belgrado capitale dei paesi non allineati mi fa provare delle emozioni forti e un velo di malinconia mi prende nel pensare agli anni del dopo guerra.Ritorno sui miei passi e mi trasferisco nella zona di Trg Republika. Percorro a sinistra un tratto entrando nella via Kneza Mihala (nella foto a fianco). Mi fermo in un bar per bere un piccolo bicchiere di birra e dopo un po’ riprendo la mia passeggiata. Svolto in senso inverso da Terrazjie verso la Kraljia Milana e percorro un po’ di strada osservando le vetrine e la gente che si muove. Mi sposto successivamente nella Trg Nicola Pasica dove mi attardo ad osservare i palazzi. Le insegne luminose sono già accese ed io comincio ad avere di nuovo fame. E’ quasi sera e la stanchezza si fa sentire. Il consiglio migliore che posso dare a me stesso in questi casi è quello di andare a cenare in una pizzeria mangiando una semplice pizza e poi in hotel a riposare. Certo una minestrina all’acqua sarebbe da preferire, ma dove trovarla? In quale ristorante? Decido dunque di mangiare una pizza vicino al mio albergo. Ce una pizzeria in Svetovorska, che si chiama Pizza Hut. Ricordo che a Londra, dieci anni fa, mangiai in una pizzeria simile. Entro, scelgo un tavolo centrale e ordino una pizza alla serba, in pratica una pizza margherita con alcune foglie di insalata verde sopra. Nel mentre che aspetto vedo una famigliola a un tavolo vicino a me. Sono un giovane padre e una giovane madre con due bambine piccole. Le bambine, con le posate in mano, aspettano diligentemente che arrivi loro la pizza mentre il padre e la madre le intrattengono chiacchierando felicemente. Il quadretto familiare mi fa un po’ tenerezza.
Secondo giorno. L’indomani è il 28 settembre ed io ho tutta la giornata a mia disposizione per visitare i posti più importanti di Belgrado che prevedono delle passeggiate più o meno lunghe. La notte ho dormito abbastanza perché se è vero come è vero che la camera è insopportabilmente inadeguata agli standard comuni di oggi è anche vero che il materasso è piacevolmente duro, mentre il cuscino è sdrucito. La stanchezza accumulata nell'intera giornata di ieri sera ha fatto il resto. La mattina mi alzo con poco appetito. Dalla finestra della camera vedo di fronte che gli uffici sono in azione, con gli impiegati alle scrivanie che lavorano. Scendo nella sala ristorante per la colazione. Mi servono una piccola tazzina di latte con miele, due minipanini con burro e marmellata di ciliegie e un caffè che più di quanto è diluito non può essere. Mi attende una mattinata di movimento in giro per chiese e luoghi d'arte. Sono le nove del mattino del 28 settembre quando esco dall'albergo.Non fa freddo. Anzi la temperatura è decisamente mite per l'ora mattutina. L'abbigliamento è quello di sicurezza, pratico, a cipolla, che mi tiene caldo e all'occorrenza mi permette di scoprirmi. Il cielo è poco annuvolato e lascio in camera l'ombrello tascabile. Imbocco prima la Decanska e poi da Trg Republike la Vasa Čarapića che mi porta in Trg Studentska dove vedo il bel parco verde degli studenti dal nome indovinato di Pjaceta. Sono tentato di passeggiarvi un po’ ma i tempi sono terribilmente stretti e non posso attardarmi. Vedo una statua da lontano e se le informazioni presenti nella mia guida di viaggio non sono inesatte si dovrebbe trattare della statua bronzea di Petar II Petrovic Njegos, principe di Montenegro. Devo dire la verità, questi nomi non mi dicono nulla perchè fino a qualche decennio fa le città dell'Europa dell'Est, in pieno realsocialismo, erano considerate segreto militare e le notizie circa la loro topografia non sono mai circolate.Peccato, perchè Beograd è una bella e piacevole città che vale la pena di visitare. I miei pensieri vagano nella mia memoria di giovane studente universitario ai tempi in cui frequentavo l'Università. Sulla falsariga di ciò che avevo visto nei filmati del progetto PSSC dei college statunitensi che presentavano studenti impegnati a leggere sui prati dei parchi americani mi vengono in mente dei flash di me stesso in cui mi abbandonavo su una panchina a fantasticare su come sarebbe stato il mio futuro e quale lavoro avrei svolto da adulto. Pensieri in libertà, in verità un po' malinconici e velati da una tristezza esistenziale per il fluire inesorabile del tempo che fugge via senza possibilità di rallentarlo. I pensieri vagano nella mia mente mentre osservo di fronte al piacevole parco Pjaceta un bel palazzo di due colori, bianco e rosa. La mia guida mi informa che si tratta del palazzo del Capitano Miša, un ricco commerciante dal nome impronunciabile.Vedo sfilare molti filobus davanti a me mentre mi viene in mente una bella frase di Mark Twain che dice: "E' bene occuparci del futuro, perchè è lì che passeremo la vita". Ed è proprio vero. Ma intanto il tempo scorre ed io ho fretta di andare nella penisola di Kalemegdan per vedere alcune cose interessanti, non ultimo il panorama mozzafiato del Danubio dalla sommità della rocca. Mi muovo verso Kalemegdan percorrendo la Uzun Mirkova. Nell’intersezione con la Pariska entro nel parco di Kalemegdan. La prima cosa che mi colpisce è il Monumento di gratitudine ai francesi. Straordinaria scelta questa delle autorità serbe a intitolare ai francesi la statua. Il monumento fu costruito nel 1930 in segno di riconoscenza per l'aiuto fornito durante la I Guerra Mondiale alla allora Jugoslavia ed è opera dello scultore Ivan Mestrović. Anche gli USA a New York hanno la Statua della libertà. Fu loro donata dai francesi nel 1886 in segno di amicizia tra i due popoli e in commemorazione della dichiarazione d'Indipendenza di un secolo prima (1776).Che bella cosa questa dei monumenti che rappresentano popoli in amicizia. Mi sposto sul belvedere verso ovest attraversando il bellissimo parco immerso nel verde. Qui trascorro un po’ di tempo facendomi fare una foto sullo sfondo del bel Danubio. Dietro la mia testa i grattacieli di Novi Beograd e più in basso l'ansa del Danubio dove sfocia la Sava. Il panorama è bellissimo. Si vede una prospettiva completa. Sulla sinistra i due ponti che collegano la parte orientale con quella occidentale di Belgrado. C'è un magnifico sole ed è una bella mattinata di luce e di colori. Di fronte a me la Fortezza di Kalemegdan e alla mia destra si trova l'ambasciata francese e la Pariska ulica. Insomma la zona è una felice sintesi di ricordi storici all'insegna della "pariginità". Trascorro un'oretta circa a visitare la parte storica della Fortezza. Ci vorrebbero almeno due giorni per visitare tutto, con calma.Decido che è arrivata l'ora di abbandonare Kalemegdan e rientrare a sud nel traffico cittadino. Dopo aver gironzolato un po’ mi muovo verso la Kneza Mihaila perché ho deciso di andare a Piazza Slavjia facendo un percorso alternativo attraverso Zeleni Venac, dove visito in profondità il mercato. Imbocco la Kraljice Natalije e subito dopo la Kneza Milosa. Da qui mi muovo verso Piazza Slavjia percorrendo l'ultimo tratto della Kralja Milana. In Trg Slavija, all'angolo sulla destra nella piazza c'è un caffè. Mi seggo e ordino un cappuccino per ammirare il panorama della piazza. Si tratta di una piazza grande, rotonda, la cui guida deve essere molto impegnativa a causa dell'enorme flusso di traffico di auto e di bus che circola nella rotatoria. La polizia presiede la piazza. Vigili solerti impongono snervanti sensi unici, alternati da forzati momenti di stop alla circolazione, e noto che alcuni passanti polemizzano con la polizia per i lunghi tempi di attesa ai semafori. In giro ci sono molte persone che si muovono velocemente.Vicino al caffè sulla piazza c'è una bancarella che vende libri a prezzi scontati, molto frequentata da giovani di tutte le età. Guardo i titoli di alcuni libri ma sono tutti in lingua serba. Ci rinuncio. Il programma della mattinata prevede adesso di spostarmi in salita alla sommità della collina per vedere da vicino la Cattedrale di S. Sava. Ho previsto di andarci a piedi all'andata dalla Svetog Save e al ritorno da Boulevard Oslobodenja. La Cattedrale è grande e molto bella. Rappresenta una ventata di eccellente architettura balcanica e si respira una profonda spiritualità ortodossa che si può notare bene se si entra nella chiesa e la si ammira con la dovuta attenzione. Conosco molto bene l'atmosfera delle chiese ortodosse e ogni volta che entro in una di queste, per rispetto mi faccio sempre il segno della croce al contrario di quello del rito cattolico. Sono stato in molte chiese e cattedrali ortodosse: da Atene a Sofia, da Nicosia ad Helsinki, da Tallin a Bucarest, e in altri posti e sempre ho notato una forte spiritualità nei fedeli intenti a seguire riti e prassi uguali nel tempo da secoli.La cattedrale è una delle più grandi del mondo e pertanto i belgradesi giustamente ne vanno fieri. E' logico che sia così. E' intitolata al patrono della Serbia, San Saba, vescovo fondatore della Chiesa serba. Fu figlio del principe Stefano Nemanjic e quando nacque nel 1174 gli fu dato il nome Rastko. Entro nel Seminario attiguo dove scelgo alcune icone di Madonna da portare a casa per regalo e ritorno in Trg Slavija da un'altra strada che si trova sulla sinistra del grattacielo che si vede nella foto sopra. Comincia a fare caldo e io accuso un po' di stanchezza oltre che di fame. E' un'intera mattinata che giro come una trottola e forse è arrivato il momento di fare una pausa per il pranzo. La strada da percorrere è lunga così decido di prendere l'autobus che passa nella Kralja Milana. Aspetto un po' alla fermata e prendo l'autobus 21 che va a Trg Studentski. Il percorso è breve perchè si tratta di poche fermate da Trg Slavjia- Kraljia Milana - Terazjie- Kolarceva - Trg republike - Vase Carapica e subito dopo il capolinea Trg Studentski. Devo pranzare in un ristorante serbo dal nome impronunciabile per l’esagerata presenza di consonanti. Si chiama Srpska Kafana e si trova in Svetogorska.Per arrivarci prendo un autobus che mi lascia in Terrazije vicino al famoso palazzo, l'Hotel Moskva, con il tetto verde e i due pinnacoli che mi colpisce per la singolarità della costruzione. In pochi minuti sono nella Svetogorska, 25. Un gentile cameriere, al quale ho più volte detto hvala, mi aiuta nella scelta del menu che comprende: Teleca krem corba, Kuver, Sumadj jsko crveno vino, karadjordjeva snicla e ariljska pita sa slad. Alle 14.20 chiedo il conto: prezzo 1630 dinari, poco meno di 16 euro. Ottimo pranzo, ancorché di difficile digestione. Una lunga siesta pomeridiana in hotel mi permette di recuperare energie e fiato che dedico la sera a un’altra soddisfacente passeggiata per le strade del centro e lungo la Kralja Milana Ulica, con visita alla Chiesa di S. Marco, vicino al Parlamento serbo, nella piazza intitolata a Nikola Pašić, che non è distante dal mio albergo.
Terzo e ultimo giorno. Ore 8.00 mi trovo in sala ristorante per la colazione. C’è freddo. Una finestra della sala è aperta ed entrano folate di aria fredda mentre i pochi clienti dell’hotel conversano a bassa voce. La mattina è dedicata ai musei. Obiettivo dichiarato e atteso è il Museo della liberazione. Dunque vediamo un po’. Intanto il Dom Sindikata di colore grigio e tetro, in perfetto stile real-socialista e vicino al mio hotel, all’angolo con la Decanska, l’ex sede del Partito Comunista Jugoslavo, nel quale c’è il Museo della Rivoluzione che dovrebbe testimoniare la lotta di liberazione dei popoli jugoslavi contro l’occupazione nazifascista dal 1941 al 1945. Anni cruciali quelli per la svolta impressa alla storia europea della seconda guerra mondiale. Ho usato il condizionale perché ho letto da qualche parte che non è facile effettuare una visita a questo museo. Spesso è chiuso e frequentemente non è aperto al pubblico se non in orari particolari. Con una sensazione poco ottimistica mi muovo a cercare l'entrata. Il custode dello stabile mi apre ma non mi fa entrare perché, mi dice sbrigativamente, il museo è chiuso a tempo indeterminato. Pochi fondi e poca attenzione verso la storia del museo hanno probabilmente creato le circostanze della chiusura delle sale.Peccato. Avrei voluto testimoniare il mio interesse per i reperti storici, magari lasciando scritto sul libro degli ospiti il mio apprezzamento per la storia dell’ex Jugoslavjia, la quale ha rappresentato nel mondo nel dopoguerra, a mio parere, un esempio equilibrato (almeno a quel tempo) di politica internazionale e di buon vicinato con l’Italia nonostante i delicati problemi di frontiere nell’Europa divisa dai due blocchi. Onestà mi impone di osservare con angoscia il fatto doloroso che in precedenza, durante l'ultimo conflitto mondiale, l’Italia ha aggredito, in modo odioso e inaccettabile, l'ex Jugoslavjia sul piano militare. Possa il tempo far dimenticare questo ripugnante comportamento del fascismo italiano e ridare serenità alla nuova Serbjia, affinché essa entri velocemente nell'Unione Europea, che è la più logica e urgente conseguenza della sua ricca storia di cultura e tradizione europea e dell'inevitabile progetto di integrazione dei popoli europei.Ho già detto in precedenza quali sono stai i motivi che mi hanno indotto a visitare la bella città di Belgrado. In verità c'è un'altra ragione, molto personale, che finora non ho confessato e che non ho alcun motivo di nascondere. Si tratta del desiderio che ho maturato in tanti decenni di visitare la capitale della ex-Jugoslavjia perchè nel lontano 1943-1944, per quindici lunghissimi mesi, mio padre Salvatore divenne, suo malgrado, "partigiano titino" nei boschi della Bosnia all'indomani dell'8 Settembre 1943, al seguito della Brigata "Garibaldi". Ho ascoltato il racconto di quei mesi direttamente da mio padre. Con molta ritrosia me ne parlò raramente, ma sempre con tanta emozione. La mia curiosità mi spinge pertanto a visitare il paese che fu dell'ex Presidente jugoslavo Josip Broz Tito, per visitare il Museo della Liberazione e recuperare, per quanto possibile oggi, un po' di conoscenze di quel mondo che costrinse mio padre, subito dopo l'8 Settembre 1943, a unirsi ai partigiani di Tito in alternativa alla fucilazione. L'invasione fascista è da considerare un gesto di bieco disprezzo della libertà e dell'autonomia di un paese. Possa l’onda del tempo far dimenticare questo ripugnate comportamento del fascismo italiano e ridare serenità a ciò che oggi rimane della ex-Jugoslavija, e cioè alla Repubblica di Serbjia affinché essa entri velocemente nell’Unione Europea. Nel 2010 è inaccettabile immaginare che un grande paese europeo come la Serbia, ma anche la Croazia, e tutti i paesi dei Balcani, rimangano esclusi dal progetto di unificazione europea. L’integrazione dei popoli d’Europa è un dato oggettivo della storia e della politica. Mi auguro che al più presto si verifichi anche questo fatto politico. Si è fatto tardi e devo rientrare in hotel per il check out delle ore 12. Finalmente, dopo aver saldato il conto con la prosperosa direttrice dell’albergo, rientro in possesso del mio passaporto e con il mio trolley mi sposto dall’hotel verso il mercato di Zeleni Venac per prendere il bus.Alle ore 13.45 sono nella zona del mercato che aspetto il bus. Uno studente di circa 14 anni aspetta come me l'ora di partire alla fermata di Zeleni Venac, che è lo ricordo il mercato della città vecchia. Qui c’è il capolinea del bus n.72 che collega direttamente il centro città con l’aeroporto Nicola Tesla di Belgrado, nel passato conosciuto come aerodrome Surčin. Sta mangiando un panino imbottito, probabilmente di prosciutto o qualcosa di simile. Si muove nervosamente sul marciapiede, gira intorno su se stesso attento a non addentare in profondità il panino probabilmente per non farlo finire prima. Lo mangia a piccoli morsi, guardandolo attentamente mentre mastica e gustandolo in pieno, probabilmente non riuscendo a saziare la sua fame. Mi fa tenerezza e mi ricorda quando ero studente anch’io, alla sua stessa età e addentavo un panino imbottito simile riempito da una semplice fetta di coppa di maiale. Lo osservo attentamente. Gli altri in attesa non lo guardano.La riservatezza serba è una delle caratteristiche che si osserva subito guardando come si comportano le persone. In questa tre giorni belgradese ho avuto l’opportunità di osservare attentamente le caratteristiche di molti cittadini belgradesi e la conclusione alla quale sono pervenuto è che si tratta di gente riservata, seria, non curiosa e per niente indiscreta nell’osservare gli altri. Ritornando al ragazzo, noto dall’abbigliamento che non deve essere di famiglia benestante. Ha gli occhiali e un viso pulito, da bravo ragazzo. Penso a come sarà il suo futuro quando crescerà e diventerà adulto. Mi piacerebbe che si realizzasse nel migliore dei modi, con quel viso acqua e sapone che lo caratterizza in pieno. Il panino finisce e lui si allontana per buttare in un cestino l’involucro di carta nel quale era racchiuso il prezioso alimento. Ci sono altre persone che attendono l'autobus 72. Le fermate previste sono una sintesi di parole tipicamente serbe. Da Zeleni Venac a Jug Bogdanova a Pop Lukina, quindi Brankov most dove si supera il Danubio e poi Bulevar Mihaila Pupina.Si continua con Pariske komune - Studentska - Tosin bunar - Zemunska - Vojvodanska - Surčinska - Put za aerodrom e infine Aerodrom "Beograd". I passeggeri scenderanno quasi tutti a fermate solitarie e poco frequentate, in piccoli villaggi lungo i sedici chilometri della distanza dal capolinea fino all’aeroporto. Tutto ciò che mi circonda è piacevole. Nonostante ci troviamo in una zona non certo signorile della città c'è in me una sensazione di grande serenità dovuta all'ambiente che mi circonda. La gente che vedo intorno a me, anche se povera, ha una grande dignità e tutti hanno un profondo rispetto della riservatezza. Non ci sono persone che parlano ad alta voce, né ragazzi che scherzano, magari pesantemente o che fanno schiamazzi. Com’è diversa qui l’atmosfera da quella caciarona di Roma dove ci sono sempre rumori molesti, e si vede in giro tanta aggressività degli studenti tra di loro e contro gli altri. Osservo la strada che porta in centro e dico a me stesso che questa è probabilmente l’ultima volta che la vedrò. Difficilmente potrò ritornare, purtroppo. Ho altri viaggi da effettuare. Agata Christie ha scritto un giallo dal titolo “L’assassino non ritorna sul luogo del delitto” che si adatta bene al mio caso. Nelle mie fugaci e veloci visite alle capitali europee non c’è tempo per ritornare e rivivere i dolci momenti delle mie visite. I cari luoghi europei nelle capitali spesso lasciano in me una sensazione di malinconia che mi fa provare brividi di felicità e forti emozioni a causa delle associazioni di pensiero ai cari ricordi della mia infanzia. Mi dispiace, mi dispiace profondamente partire, ma è la vita. "Partire è come morire" dice un vecchio adagio dei viaggi. Sarebbe bello se avessimo in futuro altre vite di cui disporre per ritornare sui nostri passi e con calma ripassare dolci e lieti momenti con altre visite. Ma qui non ci sono miracoli e la tristezza di una atmosfera piena di emozioni e di ricordi mi pervade per un po’, annullata dall’arrivo del bus. Il viaggio di ritorno è caratterizzato dal mio interesse a osservare i luoghi vicino alle fermate.I passeggeri scendono quasi tutti prima dell’aeroporto. Alcune ragazze scendono dall’autobus sulla strada in piena campagna, lontano da centri abitati. Si scorgono poche case raggruppate e stradine non asfaltate e piene di polvere. Che contrasto con la zona di Novi Beograd, dopo il ponte sul Danubio. La zona nuova di Belgrado, una specie di Eur a Roma, piena di grattacieli e di viali larghi e pieni di verde spartitraffico. Qui in periferia ci sono piccole discariche a cielo aperto, con nessuna attenzione ai problemi ambientali. E’ il prezzo da pagare per il passaggio all’economia di mercato. Si scarica tutto sui più poveri. Ma è la vita. Mi chiedo quanti anni dovranno passare ancora per avere città dell’est europeo in cui si privilegeranno i motivi ambientali. Il cielo è grigio, ma non piove. E l’aeroporto è alla prossima fermata. La vacanza è finita e il viaggio volge al termine. C’è ancora il tempo di fare una foto veloce e poco convincente della facciata dell’aeroporto per lasciare una traccia di memoria in questo luogo, ex Surčin, che nell’immaginario collettivo del tempo passato fu considerato da tutti come l'aeroporto della capitale leader dei Paesi non-allineati. Adesso tutto questo non significa più nulla. Adesso non c'è più la Jugoslavia e c'è la Serbia, con i problemi di una nazione che deve fare ordine nella società per rispettare i requisiti relativi all'entrata nell'Unione Europea. Per me che considero questi itinerari di viaggio una sorta di strumento per ricordare il passato, è importante confessare che i viaggi e i percorsi geografici che mi portano in giro per l'Europa mi permettono alla fine di ritornare a casa con un carico di suggestioni che mi producono una velata malinconia per il mondo che a quel tempo mi ha visto giovane. Si trattava di un mondo nel quale la storia ci ha insegnato che a quel tempo la politica prevedeva i muri, mentre adesso ci sono gli attraversamenti. Si tratta senz'altro di un progresso enorme, desiderato e fortemente voluto. C’è da provare i brividi se pensiamo a come eravamo negli anni ’60 e a come siamo adesso negli anni del terzo millennio. Tutto un altro mondo. Meglio così. L'aeroporto è piccolo e si manifesta in una sala partenze limitata nelle dimensioni e nel flusso di traffico. La fila per il check-in è invece insolitamente lunga nonostante sono in anticipo sui tempi previsti. Alcuni passeggeri davanti a me chiacchierano piacevolmente. Sento inflessioni dialettali di tutti i tipi: emiliano, siciliano, lombardo, veneto, napoletano e anche alcuni passeggeri arabi che discutono animatamente. Insomma si vede che sto ritornando a casa. Ma godiamoci ancora il viaggio di ritorno. Anche questa è vacanza. Ciao Belgrado, ciao Serbia. Sono stato bene con voi tre giorni interi. Mi dispiace lasciarvi. Chissà che un giorno non venga a visitarvi di nuovo. Ciao! Elenco dei report di viaggio delle capitali europee già pubblicati.

INTRODUZIONE ALLA SEZIONE VIAGGI
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BIBLIOGRAFIA LETTERATURA DI VIAGGIO

Manuali e guide di viaggio adoperate.



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