venerdì 20 novembre 2009

Sdoganato il nepotismo a Roma.

Tutti d'accordo presso la Banca di Credito Cooperativo di Roma. L'accordo è ufficiale, con il visto dei Sindacati. Il babbo va in pensione e il posto va al figlio o al nipote. Questa la notizia. Ed ecco il nostro commento. Continuiamo a farci male. Dopo le vergogne delle nomine politiche agli enti comunali fatte dalla nuova giunta municipale di Roma ad amici e militanti adesso tocca a figli e nipoti. Finalmente i romani doc ce l'hanno fatta. Era da anni che speravano che si trovasse la maniera di sdoganare il vecchio, caro, amato e molto romanesco nepotismo di famiglia. Adesso è fatta. Si aprono scenari straordinari. Pensate alla possibilità di allargare l'idea non solo alle banche private ma soprattutto ai servizi pubblici. Con Berlusconi a capo del governo tutto è possibile. Una piccola leggina ad hoc ed è fatta! Presidi di scuole che vengono sostituiti dai nipoti, cugini dei medici degli ospedali che rilevano il posto del parente chirurgo, il vigile urbano nonno che va in pensione per far posto al figlio del cognato e, dulcisi in fundo, lo zio al catasto che viene sostituito dal fratello minore di secondo letto. Il tutto, naturalmente, con l'apprezzamento dei sindacati (in questo caso la Cisl romana). Cosa volete che possa accadere di peggio? Ma abbiate pazienza. I romani in questo campo hanno tanta fantasia e molta creatività: troveranno ancora la possibilità di stupire il mondo.

domenica 15 novembre 2009

Lezione 14 - Commento alla verifica relativa al quattordicesimo esercizio di pag.48


Quattordicesima lezione. Questa è l’ultima lezione del corso introduttivo di “Lettura e Scrittura” di Grammatica della lingua araba, cosiddetta “normativa”, della Sig.ra Laura Veccia Vaglieri. Tema della lezione di oggi sono alcune considerazioni relative alla vocalizzazione delle parole arabe e la risoluzione di alcuni esercizi riassuntivi relativi a questo argomento. Al punto in cui ci troviamo adesso dello studio della lingua araba possiamo affermare che conosciamo tutte le 28 lettere dell’abagiada, أَبْجَدَ cioè dell’alfabeto arabo. In verità qualcuno, che dice di “saperla lunga”, aggiunge anche una ventinovesima lettera, e cioè la cosiddetta لا lam-alif, qualcun altro dice che è necessario non dimenticare che la prima lettera dell’abagiada non è l’alif ma la hamza. In verità a questo proposito devo dire che ho un po’ di confusione e spero che il mio maestro prima o poi mi aiuti a dissiparne una certa quantità. Ma animo e vediamo di concludere bene il lavoro iniziato mesi fa. Oggi dovrò parlare di segni vocalici diacritici extra-alfabetici, perché l’esercizio che devo svolgere li riguarda molto da vicino. In sintesi posso dire che in arabo si chiama َحَرَكاتْ harakat (cioè movimenti) il metodo di vocalizzare le parole mediante segni particolari, detti diacritici. Questi segni sono molti, quasi una ventina. Per primo ne introduciamo cinque: i più importanti. Il resto verrà successivamente. Eccoli: fatah, kasrah, dammah, sukun e shadda. Servono per vocalizzare le parole, cioè per associare le vocali alle loro consonanti e permettere di produrre suoni accessibili e differenti all’orecchio umano, altrimenti la lingua araba sarebbe incomprensibile sebbene per molti lo è comunque, cioè “a prescindere”. Infatti se si dovessero pronunciare le parole solo con i suoni consonantici avremmo un risultato molto probabilmente identico a quello dell’età della pietra, in cui i primi esemplari di esseri umani comunicavano tra di loro. Un esempio per tutti. In arabo il nome insegnante si dice muhallim. In questo sostantivo ci sono tutti e tre i suoni vocalici cosiddetti brevi: la u, la a e la i. Se non ci fossero queste tre vocali la parola muhallim si dovrebbe pronunciare mhlm. Capite che sarebbe praticamente impossibile parlare e intendersi in questi termini. In verità la lingua araba non ha fatto purtroppo uno sforzo adeguato quando i grammatici arabi di quel tempo decisero di dare solo i tre suoni brevi dell’esempio, che corrispondono alla a, alla i e alla u. Le altre due (la e e la o) - che usiamo noi europei – in arabo classico non esistono e la e e la o, per forza di cose, sono sostituite dalla i e dalla u. Così per esempio il nome Zeno in arabo suonerebbe Zinu e Vincenzo si pronuncerebbe pressappoco finscinzu. Dunque l’harakat è necessario, almeno all’inizio, e possiamo dire che esso si divide in due specie di vocalizzazione differenti: quella lessicale (tasckil) che diremmo “di struttura” e quella grammaticale (i’rab) che definiremmo “di declinazione”. Ripeto che non ho le idee chiare su questo tema per me, neofita alle prime armi, difficilissimo da intendere. Spero di non avere sbagliato nella comprensione. Gli altri segni sono i seguenti: Alif wikaia, Alif wasla, Alif difettiva, Alif mamdura, Alif prostetica, Alif maksura, Alif madda, Hamza e Ta marbuta che sono veri e propri grafemi. Poi ci sono anche i tre tanwin della fatah, della kasrah e della dammah che riguardano la vocalizzazione delle vocali finali nei casi indeterminati. Insomma, come si suol dire in questi casi, c’è “da pedalare” parecchio per imparare tutte queste “stranezze” che mi preoccupano molto per una improbabile e difficile memorizzazione nella mia mente. Chi a questo punto e spudoratamente mi dice che l’arabo è una lingua facile gli tiro un cazzotto. Una curiosità che mi sento di aggiungere durante il commento alla lezione finale di oggi sono dei giochi di parole a forma di acronimi, cioè delle frasi mnemoniche, che aiutano a individuare delle lettere servili in grado di formare parole derivate ed estrarre facilmente radici dalle parole date. Eccone tre: ANTAMUSA (tu sei Mosè), SALTUMUNIHA (voi avete chiesto a lei), AMANUATASHIL (pace e facilità) e ANAITU. Se mi chiedete a cosa servono non ve lo so dire, ma il mio maestro sono sicuro saprà tutto di queste bizzarrie perché mi ha anticipato che è meglio memorizzarle subito. Certo a lui viene tutto facile perché conosce l’arabo. Lo stesso non posso dire io. L’esercizio che mi rimane da proporre è il quattordicesimo e si trova alle pagg. 48 e 49 del testo. Eccolo risolto da me con la speranza di non avere commesso troppi errori. A tutti un ringraziamento per l’attenzione prestata a questa iniziativa personale di semplice tentativo di “autodidattica” dell’apprendimento dell’arabo classico alfusha. Un caloroso ringraziamento al mio maestro che ha avuto la pazienza di continuare a seguirmi con i suoi preziosi consigli senza i quali qualunque mia iniziativa non avrebbe mai avuto successo. Grazie maestro!
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sabato 14 novembre 2009

Processo brevissimo : l’ultima trovata del funambolico Berlusconi per aggirare i processi.

La vignetta di Giannelli sul Corriere della Sera del 13 novembre 2009 dice tutto. C’è il Presidente di un tribunale che alla presenza del Presidente del Consiglio in veste di imputato dice: “Berlusconi Silvio, imputato del reato di ….“. Immediatamente gli fa eco Berlusconi che, indicando col dito il proprio orologio, risponde: "tempo scaduto"! Ecco cosa succederà quando la leggina ad hoc presentata in Parlamento dal partito di Berlusconi per la prescrizione breve dei processi sarà approvata dalla sua maggioranza. Due sole osservazioni. La prima riguarda Berlusconi. Cosa aggiungere di più su un uomo che è riuscito a costruire una tela asfissiante sulla politica italiana con la quale produce una morte lenta e indolore della democrazia? Da parte di un uomo che ha un colossale conflitto di interessi, che sta trasformando a poco a poco la democrazia italiana da uno stato di diritto a uno stato padronale, che ha distrutto l’etica nella politica e, adesso, vuole distruggere anche il diritto nelle aule giudiziarie c’è da tremare alla sola idea di quali guasti può ancora produrre in futuro. La seconda osservazione la proponiamo ricordando che tutto questo sconcertante teatrino berlusconiano per mettere in ginocchio la validità dei processi giudiziari contro il malcostume si sta effettuando con la complicità della Lega Nord, ovvero con la complicità furbesca di quel partito che voleva far credere di essere un partito di giustizia e di equità mentre invece è complice di una porcheria accettata per un piatto di minestra chiamato “federalismo fiscale”. Da parte di entrambi gli attori di questa vergognosa azione mutilatrice di giustizia, la mancanza di etica si vede da distanze siderali. Non la vede solo chi non la vuole vedere.

venerdì 13 novembre 2009

Svelenire il clima di odio è cosa buona e giusta, ma senza fare i furbi.

Lo sanno anche i sassi che Silvio Berlusconi da quando è entrato in politica ha esagerato in tutto, soprattutto nei toni, riuscendo a creare nel paese un clima politico intollerabile e indecoroso. Mai nella storia della Repubblica si è avuto un clima così pesante e inaccettabile da quando esiste questo signore. Dunque, bene ha fatto il Cardinale Bagnasco, Presidente della CEI, a invitare a smorzare i toni perché il clima di odio e di rancore che si respira oggi nel paese non giova all’Italia. D'altronde il Presidente della Repubblica è da anni che fa appello ai contendenti a moderarsi, senza riuscirci. Vogliamo ringraziare il Card. Bagnasco per questo suo intervento a favore di una ripresa civile del confronto in Parlamento. Ma a una condizione. Che l'Eminentissimo Cardinale, Presidente della potente Conferenza Episcopale Italiana, faccia nomi e cognomi di coloro che a suo giudizio hanno creato e continuano ad alimentare odio tra i cittadini. Sarebbe troppo comodo essere generici e lasciare nel vago l'invito. Non vale nulla dire che è necessario abbassare i toni quando poi non si capisce chi è l’autore dei “toni alti”. Chi è che crea l'odio tra i cittadini? E' la magistratura? E allora fuori i nomi dei magistrati che instillano odio a fiumi. E' l'opposizione? E dunque facciamo nomi e cognomi di questi irresponsabili capi dell'opposizione che gettano fango nel paese e nelle istituzioni. Sono i sindacati che sobillano i lavoratori licenziati o in cassa integrazione? Si facciano i nomi di questi screanzati che sputano nel piatto in cui mangiano. Sono i giornalisti di Repubblica, il nemico storico di Berlusconi, che alimentano una campagna di discredito tanto da produrre disprezzo e malanimo? E allora fuori i nomi. Si tratta del solo Direttore di Repubblica, del solo proprietario De Benedetti oppure di entrambi? E se si, quali altri giornalisti italiani sobillano insieme a loro due? Come si vede le opzioni sono molte ma, a nostro parere, manca la più importante e la più probabile. Perché esiste un’altra possibilità. E se a sobillare e ad alimentare l’odio nel paese fosse proprio il Presidente del Consiglio, quel distruttore dell’etica chiamato Silvio Berlusconi, che da quando è entrato in politica, ogni giorno, ci fa il sermoncino dei comunisti che mangiano i bambini per giustificare i suoi interessi? Se il Presidente del Consiglio ha guai con la giustizia faccia l’unica cosa seria che può fare, e cioè dimettersi e lasciare il posto ad un altro esponente del centrodestra che può fare molto meglio di lui. Tutti siamo importanti e nessuno è indispensabile

giovedì 12 novembre 2009

Che sta succedendo a polizia penitenziaria e carabinieri?

Definire fuori del normale, dal punto di vista del rispetto dei diritti del cittadino indagato, ciò che sta accadendo oggi alle forze dell’ordine preposte al controllo dei detenuti è quanto meno il minimo che si possa dire dopo i tragici eventi accaduti in queste ultime settimane. Ultimamente sono avvenuti dei fatti gravi e censurabili che coinvolgono agenti penitenziari e non solo. Diciamo subito che a questo proposito le nostre sensazioni oscillano tra la perplessità indotta dai deplorevoli avvenimenti accaduti in queste ultime settimane e l’inquietudine prodotta dalle possibile conseguenze sul modo di interagire delle forze dell’ordine con i detenuti. Il caso Marrazzo, con quattro carabinieri indagati per reati gravi, e i casi Cucchi e Saladino, in cui due giovani arrestati hanno perso la vita forse per le lesioni ricevute dalle botte delle forze penitenziarie, sono emblematici dei cambiamenti in atto nel modo di operare delle forze dell’ordine nei confronti dei cittadini. La domanda allora diventa: possiamo ancora fidarci dei tutori dell’ordine? A leggere i giornali che elencano i vari possibili reati commessi da questa categoria c’è la sensazione che sia in atto un cambiamento del modo di operare. Stanno emergendo modi brutali e inaccettabili adoperati senza scrupoli da elementi delle forze penitenziarie. Ci si sta forse adeguando ai pessimi metodi coercitivi e sevizievoli statunitensi di Abu Graib? Pestare e torturare un povero disgraziato, probabilmente ammazzandolo di botte perché antipatico è un fatto talmente dirompente e scandaloso da poter parlare di cambiamenti irreversibili nel modo di procedere di chi dovrebbe tutelare lo status dei detenuti. Qui interessa individuare le responsabilità di un siffatto grave modo di procedere dalle forze penitenziarie affinché si possano denunciare gli inaccettabili metodi polizieschi che non fanno parte della tradizione italiana. C’è pertanto qualcosa che non va in un ramo delle forze dell’ordine oggi. Che cosa fa a questo proposito il Presidente del Consiglio? Sembra proprio nulla. A nostro parere avrebbe dovuto convocare il responsabile del Ministero di Grazia e Giustizia e dirgli a chiare lettere che le “mele marce” o vengono immediatamente rimosse oppure saranno guai per tutti coloro i quali hanno responsabilità in questa vicenda, perché irresponsabili e incapaci, nel non essere in grado di fermare questo genere di azioni. Silvio Berlusconi ha preso questa posizione? Non sembra proprio. Perché? Probabilmente ha altre gatte da pelare. Sta forse impegnando tutte le sue energie per imporre al Ministro della Giustizia di adoperarsi per far approvare dalla sua maggioranza l’ennesima legge ad hoc per salvarsi dai processi. Per noi il conflitto di interesse di Silvio Berlusconi continua, alla grande.

mercoledì 11 novembre 2009

Lezione 13 - Commento alla verifica relativa al tredicesimo esercizio di pag.32.


Tredicesima lezione. Questa ultima lezione del corso introduttivo di “Lettura e Scrittura” del libro della Sig.ra Laura Veccia Vaglieri (in verità l’ultima è la 14ma, e riguarda un esercizio riassuntivo con considerazioni relativi alla vocalizzazione) è organizzata in modo tale da proporre lo studio ortografico e morfologico della scrittura delle due ultime lettere dell’alfabeto arabo rimaste da studiare, che sono la ain ( ع ) e la gain ( غ ). Ricordo che l’ordine di studio delle 28 lettere date dalla Veccia non corrisponde allo standard ordinato dell’alfabeto arabo, che è diverso. La "stranezza" sta nel fatto che la Veccia ha fatto una scelta personale di sviluppare l’alfabeto secondo una sua precisa idea didattica che è differente dalla normale elencazione delle lettere. La lettera ع si trascrive con un semplice apostrofo mentre la lettera غ si traduce con una g sormontata da un puntino. La novità, se si vuole, è la conoscenza del fatto sorprendente della presenza finale di una gallinella , cioè della ya ( ى) senza puntini sotto il morfema (alif maksura), che dal punto di vista fonetico assume la forma di una alif finale. La ta marbuta in genere si pronuncia come la vocale a. In condizioni particolari tuttavia si pronuncia ta ed è scritta con una ha sormontata da due puntini ( ۃ) e si trova sempre in finale di parola. Desidero qui dire con chiarezza che a mio parere la pronuncia della ain è un esercizio frustrante e praticamente condannato al fallimento per la stragrande maggioranza degli studenti italofoni. La ragione sta nel fatto che per pronunciare con chiarezza il suono della ain è necessario azionare dei muscoli che non sono mai stati azionati nella nostra vita a causa del fatto che la nostra lingua non lo prevede. Pertanto mi vergogno a dirlo ma nonostante i miei sforzi questa lettera dell'abagiada (alfabeto in arabo) non riesco a pronunciarla correttamente. Il mio maestro mi ha suggerito di ripetere il verso del cammello quando vocalizza i suoi suoni. Ma non ci riesco neanche così. L’esercizio che pubblico in calce è molto lungo. Si tratta di ben nove righe di traslitterazione dall’arabo all’italiano e di altre sei righe di traslitterazione in senso inverso. Probabilmente la Veccia, consapevole di essere alle ultime battute di questa prima parte del suo eccellente e unico lavoro si è guardata bene di proporre un esercizietto, facile e breve. L’esercizio, infatti, è contenuto in una facciata completa del suo libro a pag.32. Il solo vederlo riempire l’intera pagine incute un sano timore. Ed ecco il risultato del mio impegno (faticosissimo) di oggi. Mi rivolgo al mio maestro sperando di non avere commesso troppi errori. Spero nella sua comprensione. Ma si sa che chi non sbaglia non impara.
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sabato 7 novembre 2009

Lezione 12 - Commento alla verifica relativa al dodicesimo esercizio di pag.29.

Dodicesima lezione. Questa è la penultima lezione del corso introduttivo di “Lettura e Scrittura” del testo di grammatica araba della Sig.ra Laura Veccia Vaglieri che riguarda le prime 50 pagine (da pag.1 a pag.50). La lezione di oggi è organizzata in modo tale da proporre lo studio ortografico e morfologico della scrittura della ha ( ه ) e sulla conoscenza della alif maqsurah e della ta marbuta. La lettera ه si trascrive ha. Questa lettera è una delle poche che si scrive in quattro maniere diverse a seconda se è legata o meno. Mi ha colpito la forma mediana in cui la ha si scrive come una specie di otto, a forma di farfalla, per non parlare della ha iniziale che sempre un nodo fatto con una corda. La forma finale poi è veramente notevole perché sembra un piccolo ricciolo. La novità vera, se si vuole, è la conoscenza del fatto sorprendente della presenza finale di una gallinella, cioè della ya (ى) senza puntini sotto, che dal punto di vista fonetico assume la funzione di unaaliffinale. La ta marbuta invece si pronuncia ta ed è scritta con una ha sormontata da due puntini (ۃ) e si trova sempre in finale di parola. In conclusione la lezione di oggi è interessante più per motivi calligrafici che per altro. L’esercizio posto in calce è abbastanza lungo. Si tratta di sette righe di traslitterazione dall’arabo all’italiano e di altre tre righe di traslitterazione in senso inverso. Un'ultima osservazione la desidero fare a proposito di tutte le lettere che riguardano la alif. Ce ne sono ben 6 che hanno a che fare con questo carattere jolly che definire importante è poco. Eccole: أ ، إ ، آ ، ﺍ ، ى ، ئ ، ﷲ ، ا . La prima è quella normale che, alcune volte se compare alla fine si chiama "alif wiqaya". La seconda che compare nella parte alta della parola Allah si chiama "alif difettiva". La terza e la quarta sono entrambe delle "alif maksura" con o senza hamza. La quinta con sopra un ricciolo si chiama "alif wasla". La sesta si chiama "alif madda". La settima e l'ottava sono delle semplici "alif hamzate" rispettivamente per essere pronte a prendere la vocale breve fatha, damma e kasra. E adesso ecco il risultato della mia fatica.

















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venerdì 6 novembre 2009

Roma e Milano: due città condannate a essere lontane l'una dall'altra.

Oggi non parleremo bene delle due città più importanti d'Italia, ovvero di Milano e Roma. Pensiamo che sia necessario svegliare le coscienze di chi nutre un interesse vero e autentico nei confronti delle due città su uno dei mali peggiori che caratterizza la vita del nostro paese, che è il "campanilismo etnico". Qui per "campanilismo etnico” intendiamo una variante del razzismo, vale a dire una specie deleteria e criminale di municipalismo locale, in grado di produrre comportamenti razzisti, devianti e discriminatori verso altri. Diciamo che questo modo di intendere gli aspetti relazionali tra due comunità, ma in generale lo stesso avviene tra tutte le comunità regionali d'Italia, da sempre, può essere considerato un vero e proprio modello negativo di intendere le relazioni tra gruppi sociali appartenenti alla medesima nazione. Sosterremo la tesi che gli italiani sono dei “razzisti provinciali”, cioè una sottospecie umana che è razzista e discriminante non tanto per motivi di "superiorità razziale", quanto soprattutto per tradizione regionalistica e municipale che considera gli altri alla maniera di "guelfi e ghibellini", cioè come nemici e non, semmai, come avversari. E’ noto da sempre che nella storia italiana i Comuni hanno sempre preteso dai loro cittadini una completa adesione all’idea tribale di clan, ovvero di comunità chiusa, nascondendone la matrice razzista con la scusa di tradizioni culturali e storiche giustificate da radici linguistiche autoctone. Prendiamo per esempio le due città di Roma e Milano. Ammazza come semo bravi noi romani e mi sun milanès sono due tipiche espressioni provinciali e particolarmente significative in questo panorama di povertà culturale che la dicono lunga su come la pensano gli uni dagli altri. Le due città di Milano e Roma sono due grandi metropoli, ricche da tutti i punti di vista (economico, industriale, sociale, culturale, artistico, etc.), orgogliose della loro storia e della loro tradizione. Fin qui tutto bene. Avrebbero tutto, ma non si sono mai accontentate e non riconoscono possibile alcun tipo di apertura verso l’altro. Vivono la loro natura con sentimenti che oscillano tra l’odio e l'inimicizia, sullo sfondo di una profonda avversione per i caratteri dell'altro. Ci sono esempi illuminanti di questi cattivi sentimenti che vanno dall’insofferenza verso i rispettivi dialetti, all’animosità del tifo tra i sostenitori delle due squadre di qualunque sport, etc. Noi vogliamo tentare di individuare le responsabilità recenti di questa pessima abitudine di relazionarsi tra loro, per smascherare chi ha potere e non ha fatto nulla per modificare questo atteggiamento negativo di chiusura. Parliamo dei due primi cittadini, cioè della Sig.ra Moratti e del Sig. Alemanno che, a nostro giudizio, sono i principali responsabili della barriera che impedisce oggi qualunque visione di apertura tra le due città. Noi non conosciamo di persona i due primi cittadini ma da quel che si legge sui media devono essere due persone per bene alle quali non abbiamo nulla da contestare sul versante del loro comportamento privato. Come si vede, abbiamo un'idea positiva delle due persone se considerate come privati cittadini. Quando però passiamo al comportamento pubblico le cose cambiano profondamente. Un solo esempio per tutti. Non hanno mai fatto nulla per smussare questa acredine tra le due città e non hanno fatto nulla per incanalare le energie positive delle due città verso una proficua collaborazione. Per esempio non hanno mai sollecitato progetti per favorire la politica dei trasporti tra le due città, non hanno mai incentivato l'uso di mezzi di trasporto pubblico per le merci, come le ferrovie. Non hanno mai collaborato ad alcun progetto di integrazione industriale, nè sportivo, nè finanziario, nè di alcun genere. Insomma non hanno fatto nulla di nulla. A dire il vero si sono fatti da sempre la guerra. E dire che entrambi appartengono allo stesso partito al potere, ovvero appartengono a quel Pdl di Berlusconi che predica spesso cose buone e poi razzola sempre male, non facendo nulla di concreto o, peggio, facendo gli interessi di parte. Cosa dire della coppia di Sindaci, assolutamente inadeguata, che staziona nel proprio minuscolo palazzo comunale disinteressandosi delle grandi opportunità che ne deriverebbero da una collaborazione fruttuosa e ricca di ricadute nel paese? Ci sembrano due figure politiche inutili, vuote, di cui se ne farebbe volentieri a meno perchè sono piccoli individui estremamente lontani da quei sentimenti di buona politica che l'Italia purtroppo non ha mai avuto. Due autentiche personalità in negativo che pensano solo al proprio orticello e che non producono cose virtuose in grado di migliorare il grado di coesione del paese. Insomma, secondo il linguaggio del Ministro Brunetta si tratta di due autentici "fannulloni" che non garantiscono nulla per il futuro. Come definire il comportamento pilatesco dei due? Schizofrenico, immorale, pieno di fannullaggine? Fate voi. A noi il compito di ricordare che inerzia e inettitudine significano, in fondo in fondo, incapacità a fare il bene pubblico. Come dire che al peggio non c'è mai fine.

martedì 3 novembre 2009

Lezione 11 - Commento alla verifica relativa all’undicesimo esercizio di pag.27.

Undicesima lezione. Questa lezione si basa quasi esclusivamente sullo studio ortografico della scrittura della mim (م) con la novità di alcuni esempi di scrittura a castello. La lettera م si trascrive con una semplice m senza puntini ed orpelli vari. La novità forte di questa lezione è invece data dalla scrittura in verticale di alcune lettere nelle parole. Una vera novità, che introduce uno dei motivi della bellezza della scrittura araba e cioè che si possono scrivere delle lettere una sull’altra creando una vera e propria arte calligrafica. Certo, chi vede scritte queste lettere una sull’altra ne rimane sulle prime sconvolto, perché non ha mai visto nulla del genere nelle lingue latine. Diciamo che è una originalità araba che per l’appunto rende piacevole e variegata questa bellissima lingua. E’ naturale che ci siano delle norme che regolino questa scrittura a castello. Non tutte le lettere possono essere inserite una sopra l’altra. Ma questo è un altro aspetto. La Veccia non ne fa cenno. La propone e basta. Mi sarei aspettato qualche spiegazione da lei, ma la capacità di sintesi della Veccia è talmente potente e proverbiale che era prevedibile il non farne cenno. Ho imparato qualcosa sul tema frequentando quattro lezioni di un maestro calligrafo arabo, che ne ha parlato in un suo corso di calligrafia araba tenuto a Roma nell’inverno del 2009. Il maestro è Nasser El Gilani, egiziano del Cairo (nella foto). Un vero portento della calligrafia araba. Le cose stanno così. Le lettere che si possono scrivere una sopra l’altra sono sei, dette “lettere libere”, per la loro libertà a far parte di una composizione verticale. Esse possono essere scritte indifferentemente sopra , sotto o in mezzo e sono: ج, ح, خ, م , ه , ي. Sei altre lettere non possono stare nel castello, né sopra, né sotto. Ed è importante conoscere quali. Esse sono: ا, د ,ذ ,ر ,ز ,و. Infine, le rimanenti sedici lettere possono stare solo sopra. Ripeto, solo sopra. Facile no? Nell’esercizio posto in calce, nella terza riga la prima parola è scritta due volte. La prima con scrittura normale e la seconda con scrittura a castello. In questo modo la Veccia presenta un caso del genere molto semplice e chiaro.Presento di seguito un esempio di studio calligrafico delle lettere arabe svolto da Nasser a mo' di esempio della bellezza dei caratteri arabi. Passiamo adesso a evidenziare un terza “distrazione” dell’Autrice della nostra grammatica che abbiamo preso a modello di studio nel nostro corso di arabo elementare. Ricordo che già nella terza e nella settima lezione ho rilevato analoghe imprecisioni presenti nel libro della Veccia. Adesso, nella decima lezione, si ripresenta un caso simile a quello precedente, in cui si chiede di traslitterare dall’italiano all’arabo la lettera ه che si trova nella parola presente nell’ultima riga dell’esercizio di pag.25. La Veccia non avrebbe dovuto inserire questa lettera in questa lezione per il semplice fatto che la lettera ه non è stata ancora introdotta e spiegata. Lo sarà a pag.28 col prossimo esercizio. Nello stesso esercizio inoltre ci sono anche due errori (il quarto e il quinto), probabilmente dovuti a errori di stampa. Nella quinta riga di pag.27 la quarta parola (mumkinun) manca del puntino sulla ن lungo la verticale che passa per il tanwin della dammah. In mancanza di esso l’ultima lettera, appunto la ن , non sarebbe pronunciabile come n. Nella riga undicesima, la prima parola (lakinna) ha l’accento circonflesso sulla prima vocale a con il quale si pronuncia una vocale lunga quando invece la vocale è solo breve. Tutto qui. E adesso di seguito propongo l’esercizio che ho svolto oggi.


















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lunedì 2 novembre 2009

Politici, trasporti e mascalzonate alla città di Roma.

Sono ormai passati decenni da quando in Italia è stato modificato il sistema elettorale che decideva l'elezione dei Sindaci nelle città. Fino ad allora i sindaci erano ostaggio di maggioranze raccogliticce, con intese politiche che si basavano sui reciproci favori. I ricatti erano dietro l'angolo in ogni momento. Si diceva che i Primi Cittadini non avevano potere per un sistema elettorale che impediva loro di avere un uomo forte al municipio o alla presidenza di regione o di provincia. Alla fine si è riusciti a fare questa benedetta riforma elettorale, ma nella città di Roma i risultati non si sono mai visti. Altrove si. Soprattutto nelle regioni settentrionali il nuovo sistema ha funzionato benissimo e lo vedono ogni giorno, in modo concreto, tutti i cittadini che vivono in quelle località, che sono da invidiare. Ma a Roma no. A Roma non ha funzionato. Facciamo un esempio: la politica dei trasporti nella capitale. E' un'indecenza che tutte le amministrazioni comunali (di sinistra e di destra) che si sono alternate in Campidoglio da almeno vent'anni a questa parte non sono mai riusciti a risolvere il problema del traffico cittadino. E' un vero scandalo che gente come Rutelli, Veltroni e Alemanno, con alle spalle un apparato di potere che non ha eguali nella storia della Repubblica, non hanno nemmeno tentato di iniziare un progetto di rivoluzione dei trasporti. Perchè? L'ipotesi che trova più consensi è che i politici romani sono dei dilettanti, incapaci di effettuare riforme ampie e complesse. In verità, il dilettantismo dei politici romani non è la vera ragione che ha impedito finora di cambiare in modo concreto l'abitudine degli automobilisti a Roma. No. La vera ragione sta nel fatto che un progetto di questa ampiezza non interessa loro, nè a livello locale, nè a livello provinciale, nè a livello della regione Lazio. Perchè? Per la semplice ragione che questo genere di riforme non producono nè giri di denaro allettanti, nè possibilità di lucrare in modo consistente. In più, un progetto di rivoluzione del traffico imporrebbe scelte politiche e tecniche insostenibili per amministratori poco severi, in genere abituati a ragionare con la logica del laissez-faire piuttosto che con quella della intransigenza e della severità. Mica a Roma siamo nei luterani paesi scandinavi! Avete mai visto un amministratore, di qualunque genere, a Roma che impone correttezza, trasparenza, interesse generale per la cittadinanza e moralità alle lobbies controparti, interessate a lucrare il massimo dai finanziamenti pubblici? La conclusione amara di questa vicenda è che sinistra, centro e destra a Roma non governano per il popolo, non svolgono alcun ruolo per favorire il popolo, ma fanno bassa cucina per gli interessi propri e della propria famiglia. Che misera conclusione per un popolo che non perde mai occasione di parlare di tradizione e cultura. Ma quale tradizione e cultura! Qui si tratta di interessi di bottega. Altro che.

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