sabato 22 maggio 2004

L’ennesima indignazione romana.


Mi dispiace ammetterlo, ma è così. Abito da più di vent’anni in questa città straordinaria e meravigliosa per l’arte, la cultura, la musica, il teatro. Qui a Roma quasi tutto è bello. La cucina, il clima, i colori, l’atmosfera di certe serate romane, le manifestazioni artistiche e gli eventi culturali. Purtroppo vi è un difetto, un grande neo, un fortissimo limite: la gente. O meglio, una parte della gente che vive ed opera in città. Vediamo perché. L’altro ieri, 20 maggio, sulle pagine romane di un quotidiano nazionale, si trova un articolo dal titolo: “Maleducati sui bus romani. Protesta al Foreign Office”. Si tratta dell’ennesima perla di alcuni cittadini romani che fanno di tutto per essere antipatici ai turisti, e non solo a quelli. Al di là della questione specifica rimane il fatto che vi è un grave problema che riguarda il comportamento poco civile di una larga parte della popolazione di Roma. Lo si vede dai modi di fare quotidiani dei cittadini di questa città, dagli usi e dalle prassi consolidate nel tempo che caratterizzano i modi di fare di questa componente della società romana. Si tratta di persone di tutte le età, accomunate da una rozza, arrogante e prepotente concezione della vita, che si può tradurre in forma sintetica con la battuta che “il romano prende in giro tutti e fa fessi gli altri”. Perché? Perché questo incivile modo di comportarsi? E perché non si riesce a sradicare questa modalità di essere nella vita quotidiana di questa gente? Le cause sono molteplici. Una in particolare interessa in questo caso sottolineare e, brevemente, commentare. Retaggio antico e tradizione consolidata. Una pericolosa miscela di autoesaltazione mitica di tutto ciò che ha a vedere con la parola Roma. Eredità vecchia di secoli e sorprendentemente ancora in uso, sopravvissuta al nuovo che incalza ma che non scalfisce riti e ritmi di una modalità di approccio alla vita arretrata, di basso profilo, che ricorda la “gente de cortello”, di duelli rusticani, di passioni elementari e di codici improntati a una morale arcaica. Quello dell’onore, sostituito di recente dall’esasperato tifo calcistico per la propria squadra, sono modalità di vita e quadri culturali in grado di condizionare chiunque non sia in grado di distinguere dove finisce la propria libertà e inizia quella dell’altro, dove termina la tradizione e dove inizia il localismo, ovvero quella forma esacerbata di campanilismo tipico delle società chiuse. Ancorati a una morale che esiste solo in certi strati della società romana, presente quasi sempre o nelle borgate, in periferia, o in alcune ristrette zone centrali della città, è conseguenza di un falso senso dell’onore e di una falsa idea di solidarietà. La si riconosce da piccoli particolari come la gestualità, la mimica, la cadenza dialettale, i tipi di discorsi che vengono affrontati, il senso di solidarietà esistente solo tra simili e quasi mai per gli altri, dal nepotismo dilagante e chiave di successo economico, dall’abbigliamento, dall’uso sfrenato ed accentuato della moto superaccessoriata o dal fuoristrada , simboli di potenza e di presunta superiorità degli interessi del gruppo. Interessi che riguardano il desiderio di vedere affermata la superiorità della propria tradizione, mai palesata in forme di modestia, di altruismo disinteressato. I romani sono fatti al contrario. Non ci credete? Ecco una serie di caratteristiche che altrove sarebbero considerate incivili. Sono fieri dei loro difetti; si sentono orgogliosi nell'esprimere la loro ammirazione per la persona che non paga le tasse; stimano il solito furbetto del quartierino che viaggia in metro o in autobus senza pagare il biglietto; addirittura provano ammirazione per la donna che tradisce il marito. Una sintesi abbastanza fedele della romanità la fece Alberto Sordi in una battuta di un suo film: "Io sono io, e voi non siete un cazzo!". Ma il massimo dell’idea deteriore di “romanità” la si nota nella sistematica attività di demolizione e nella non accettazione delle idee moderne di civiltà che vanno dalla correttezza e dall’onestà nell’amministrare la cosa pubblica al consenso nel concetto di norma valida per tutti. Gli aspetti negativi di questo modo di intendere la vita cittadina vanno dal completo disfacimento dell’idea di accettazione dei codici di comportamento, come del codice stradale nella guida degli automobilisti, alla totale assenza di interiorizzazione di regole civili di convivenza. In breve, si può dire che si va dagli abusi edilizi, peraltro effettuati in maniera sfrontata, ai reati più disparati che vedono spesso connivenze tra corruttori e burocrati, che è l'aspetto più odioso che si possa verificare. Dalla mancanza di rispetto delle norme di convivenza civile (buttare i sacchetti dell’immondizia nelle strade, svuotare le cicche dei portasigarette ai bordi delle strade, non rispettare i diritti di precedenza come nelle code sia in auto, sia negli uffici pubblici e privati) alle tragedie quotidiane del rifiuto esplicito ed arrogante delle norme di comportamento della sicurezza stradale (non rispetto della distanza di sicurezza tra autoveicoli, il sorpasso a destra come una costante della superiorità sugli altri, il percorrere i marciapiedi con le moto, il posteggiare su doppia e tripla fila, il passare con il rosso, ecc…). Ogni regola, pensata e scritta per produrre una società civile, qui a Roma, è vissuta come una corsa alla deregulation, in cui ci si diverte a non rispettare le buone regole di cittadinanza. Dal biglietto non obliterato sugli autobus e sulla metro alla sigaretta fumata in luogo pubblico, dalla gomma masticata e abbandonata sulla strada allo stereo e alla TV suonati a tutto volume, dal parcheggio delle auto che creano ostacoli alla circolazione al mancato rispetto del semaforo rosso, dalle manovre spericolate sui motorini agli elettrodomestici vecchi e non più funzionanti abbandonati sui marciapiedi. Insomma, la negazione dei doveri espressa da una cultura della cittadinanza irresponsabile che sta purtroppo alla base di una modalità del “non essere”. L'intreccio perverso, poi, tra chi dovrebbe controllare che non si verifichino reati e chi li commette è un'altra costante della vita sociale e politica della capitale. Impiegati, funzionari, vigili, dirigenti ministeriali, burocrati privati e pubblici di tutte le specie, negozianti, liberi professionisti, tutti accomunati da un’idea: quella di turlupinare gli altri. Truffe di tutti i tipi: truffe di privati ai danni di privati. Truffe di privati ai danni dello Stato. Truffe di mascalzoni che operano nel pubblico ai danni dei cittadini più deboli. Si potrebbe fare un elenco interminabile. Attenzione. Questo non lo dico solo io. Si trova su tutti i giornali. Basta leggere gli articoli scritti quotidianamente sulla stampa. Una cosa che non ha eguali al mondo. Peccato. Si riesce a rovinare tutto con poco.

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